Due avvenimenti segnano il capo e la coda di un quindicennio di tranquilla urbanistica fiorentina: la telefonata del segretario di un Pci in fase di autodemolizione – Achille Occhetto – che bloccava la grande, tuttora irrisolta, espansione occidentale di Castello (1989); e il recepimento, negli anni 2000, del tracciato urbano dei 7 km sotterranei dell’alta velocità ferroviaria. Nella seconda giunta Domenici (2004-2009) la pianificazione entra nella fase di risveglio, per assumere poi specifici connotati, dal valore di prova in vitro per l’urbanistica peninsulare avvenire.

Riportando in auge il vecchio piano attuativo, Leonardo Domenici (Ds poi Pd), di concerto con l’assessore Gianni Biagi, imbastisce nel 2005 l’affaire Castello, patto tra gentiluomini stretto e celebrato con Salvatore Ligresti. Un milione e 400mila metri cubi di cemento nella piana a nord-ovest della città, a ridosso dell’aeroporto, in terreni acquitrinosi poco appetibili e perciò da destinare a servizi pubblici: oltre alla ciclopica caserma dei Carabinieri e alla sventata Cittadella dello Sport (ora alla Mercafir), spicca nel progetto un polo didattico voluto dalla Provincia, allora governata da un promettente Matteo Renzi. Il sindaco Domenici, lavorato ai fianchi dalla lista di cittadinanza perUnaltracittà e indicato presso il grande pubblico da Repubblica, in segno di protesta si incatenerà sotto la sede romana dell’Espresso. La caduta verso la generale deregolazione accelera: in Regione Toscana l’urbanistica è nelle mani dell’assessore Riccardo Conti, passato alla cronaca (anche) per le cariche contemporaneamente rivestite di responsabile infrastrutture del Pd e di consigliere di amministrazione della F2I, il fondo specializzato in investimenti in infrastrutture guidato da Vito Gamberale. L’ordine degli architetti si allinea: il presidente è a capo della pluri-indagata società Quadra Progetti, composta da architetti e costruttori, con un consigliere Pd in qualità di socio occulto, secondo l’accusa. Nel 2009, come ultimo atto consiliare viene tentata l’approvazione del Piano Strutturale (ovvero della parte strategica del Prg). Il piano Domenici non è un lavoro di qualità; la contestazione cittadina ai piedi di Palazzo Vecchio ne accompagna la débacle: mancano i numeri della maggioranza e il Piano Strutturale è ritirato.

Tra 2009 e 2010 il governo del territorio passa di mano. È eletto sindaco Matteo Renzi (Margherita poi Pd); nominata assessore regionale al territorio Anna Marson, accolta con favore dai comitati; nel frattempo, a colpi di petizioni degli iscritti, l’ordine degli architetti si rinnova.

Renzi, a dispetto dell’ammirazione proclamata urbi et orbi per La Pira (che, detto per inciso, aveva affidato la stesura del Prg a Edoardo Detti, urbanista di riconosciute qualità), trattiene ad interim l’assessorato all’urbanistica, e riparte da zero. Il nuovo Piano Strutturale, approvato nel 2011, allude ai temi disciplinari che puntualmente elude, e si pone in una dimensione extrapianificatoria. Vediamo come.

L’abilità comunicativa del primo cittadino adotta e consolida televisivamente lo slogan dei «volumi zero», smentito dai grandi volumi fatti partire in variante al Prg, nonché dal milione e passa di metri cubi di Castello (ora proprietà Unipol) dati per già edificati e non ricontrattati. E dalla grande cementificazione che dà l’assalto al sottosuolo: stazione e tunnel Tav, dieci parcheggi interrati nelle piazze storiche, tram sotterraneo sotto il centro città, «passante urbano» nelle colline costituiscono il banchetto per imprenditori privati a cui di fatto viene demandata la trasformazione urbana. Il piano è riducibile a un coacervo di slogan, privo di un’idea di città, povero di indagine conoscitiva, corredato da eventi di pseudo-partecipazione; delineato nell’indifferenza di quanto si sta predisponendo in Regione, sia sul fronte del Parco della Piana e del Piano paesaggistico, sia su quello normativo che vede la legge urbanistica in piena, auspicata riforma. La pianificazione fiorentina procede, così, in solitario e per frammenti, frutto di decisioni autocratiche di forte risonanza mediatica a cui fanno seguito altre innumerevoli affermazioni, contrastanti e irrealizzabili, al di fuori di una programmazione e di una condivisione delle scelte. Esempio luminoso del «pianificar twittando» è la pedonalizzazione di piazza Duomo, attuata d’autorità, senza dibattito in consiglio e senza un piano per il riassetto del trasporto pubblico arrangiato con logica di cantiere che aumenta il disagio dei fruitori, mentre la piazza viene privatizzata dai «dehors» di bar e ristoranti. In un centro storico esangue, desertificato e mercificato, ormai preda della speculazione turistica, l’affitto del Ponte Vecchio alla Ferrari passa per un atto di normale amministrazione.

Stante la rimarchevole sensibilità del governo cittadino verso proprietà privata, il Piano Strutturale rinuncia alla titolarità pubblica del progetto sulla città chiamando a raccolta, con un bando di pubblico avviso, i medio-grandi proprietari di aree in trasformazione. I loro 217 progetti «predetermineranno» il Regolamento Urbanistico zelantemente redatto dall’ufficio tecnico comunale in linea coi dettami del principe ammiccanti alla strumentazione finanziaria (crediti edilizi in primis) e adottato nei giorni scorsi.

In città persiste tuttavia una tradizione di laboratori critici che dagli anni ‘90 vede attivo il LaPei (Laboratorio di Progettazione ecologica degli insediamenti) con il progetto partecipato delle «4 piccole città sull’Arno» all’Isolotto e, ai tempi della Pantera, con l’ipotesi di «bonifica territoriale» per l’area metropolitana impostata sul progetto ecologico socialmente prodotto di concerto coi comitati locali. Nell’orbita del LaPei, è il recente progetto alternativo di sopra attraversamento Tav. La Comunità delle Piagge oppone resistenza in un quartiere povero di servizi, affrontando il disegno degli spazi pubblici e il tema dell’autocostruzione per fini sociali. Raccoglie il testimone di queste esperienze il Gruppo urbanistica perUnaltracittà che si adopera per una controffensiva radicale fondata sulla riappropriazione degli strumenti analitico-critici, sulle pratiche urbanistiche condivise e sulle relazioni sociali, costruita con incontri pubblici, elaborazione di progetti e di testi specifici. Il gruppo, che fa rete con le espressioni dell’autogestione, dell’autorecupero e della cittadinanza attiva (San Salvi chi può, NoTunnelTav, Oltrarnofuturo etc.) e intesse relazioni con esperienze nazionali (ReTe dei comitati per la difesa del territorio, GrIG, etc.), porta avanti una riflessione collettiva sulla forma della città, sul destino dei contenitori dismessi, sui luoghi della socialità, sul ridisegno delle relazioni ecologiche.

Esperienze di condivisione del sapere e di collettivizzazione del pensiero critico, scuole disciplinari e luoghi di sperimentazione politica conviviali, liberi e libertari, questi laboratori arricchiscono il fronte di resistenza peninsulare a contrasto di un’urbanistica distruttiva e neoliberista che da Firenze viene dispiegandosi nelle sue forme più «nuove».

 

*urbanista, Università di Bologna