Una lunga fila di mazzi di fiori e bigliettini con una bandiera francese arrotolata al centro si stende sui sampietrini davanti a Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia. «Egualité, liberté, fraternité», «Io non ho paura», poesie sull’amore, cose così.

È un andirivieni continuo di centinaia di persone. Non solo italiani, anche francesi residenti a Roma o di passaggio come il gruppetto di studenti Erasmus alla Luiss, con gli occhi arrossati e gonfi. Marcel si stringe nella giacca di velluto verde e riesce solo a dire che hanno tutti avuto attestati di grande solidarietà e che sono sconvolti.

A piazza Farnese, nella piazza del cordoglio, si è ritrovata anche la Sinistra italiana di Roma e la lista Tsipras. Il tam tam è partito in nottata e si è coordinato solo all’ultimo con l’altro appuntamento, in piazza del Popolo, con il Pd, la Cgil e l’Anpi: senza fiori ma anche lì senza bandiere o emblemi di partito, soltanto uno striscione giallo di Amnesty e poche bandierine blu dell’Unione europea.

Nella piazza della solidarietà gli unici oratori ufficiali, all’inizio, sono un rappresentante della comunità ebraica romana e uno della comunità araba e palestinese, poi c’è un momento di vuoto, di spaesamento, come a certi funerali laici dove manca un prete.

Finché non arriva Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, a cui tocca incarnare le istituzioni, cioè il sindaco che non c’è. Infatti parla della città, dei rischi che può correre con il Giubileo «ma non sono una novità e ci stiamo lavorando da mesi», rassicura, chiarendo che la sicurezza non sarà assicurata solo dai 700 soldati dispiegati per le strade, «ma dalle strade stesse piene di gente, di pellegrini, da chi continuerà ad andare in pizzeria, dai romani che non concederanno un passo indietro dai nostri standard di civiltà e di convivenza», perché, ripete in vari capannelli, interpretare ciò che sta succedendo come uno scontro di civiltà «sarebbe dare ragione agli attentatori».

Riccardo, liceale dei Giovani democratici del circolo di via dei Giubbonari racconta in effetti che a scuola sua, a Borgo Pio, vicino al Vaticano, si fanno prove di evacuazione continue. «Ma io ho paura soprattutto della paura, i diritti valgono anche per gli attentatori anche se i miei coetanei dicono Bruciamoli! Sterminiamoli!».

A un certo punto arriva Ignazio Marino, il sindaco che fu, «sono qui come cittadino», precisa, attorniato da telecamere e cronisti. «E penso a Parigi, ai problemi organizzativi che devono porsi..», aggiunge mesto. Cerca il contatto con il pubblico, mani da stringere – che non sono molte, ormai – ma deve rompere l’assedio driblando i giornalisti e infine trova l’abbraccio di una signora riccia, del gruppo dei suoi sostenitori su Fb, che per l’occasione ha anche portato tre casse di candele e le distribuisce in giro.

Nel buio della sera i fari delle telecamere, più forti delle candele, illuminano come fuochi i leader politici che fanno le loro dichiarazioni. Stefano Fassina, al centro della scena, non dice cose diverse, almeno in politica estera, del più appartato Gianni Cuperlo.

Alla domanda se al’orizzonte, tra le tante ansie securitarie che si fanno strada in queste ore e gli appelli all’unità democratica anche in Parlamento, si prevede un intervento militare di terra in Siria, entrambi rispondono che l’ipotesi pur da non scartare a priori, è prematura. «Il primo obiettivo è un chiarimento con la Russia e con l’Iran per trovare un equilibrio in Siria», Fassina. «Bisogna respingere la paura e il velleitarismo di fronte a un problema geopolitico enorme e complesso che coinvolge anche la Russia, il Libano, l’Iran», Cuperlo.