Discriminazioni e rappresaglie fino al licenziamento di un delegato sindacale. Le denuncia la Fiom-Cgil alla Dema, un’azienda del settore aerospaziale con sei sedi in Italia e all’estero, di cui due nel napoletano: 500 dipendenti divisi tra Pomigliano d’Arco e Somma Vesuviana.

Stamattina i metalmeccanici della Cgil saranno ai cancelli della sede di Somma per protestare. La spa si occupa di progettazione e produzione di strutture aeronautiche, ha commesse per un miliardo e un portafoglio clienti molto ricco (Alenia, Bombardier, Agusta, Airbus military, Selex e altri) ma ha anche 130 milioni di passivi. A inizio anno la Dema decide di avviare le procedure ex legge fallimentare per rientrare dal debito attraverso un taglio di costi, che si traduce a febbraio in 61 licenziamenti nei due stabilimenti partenopei. Le sigle sindacali reagiscono con un mese di scioperi e picchetti ottenendo la revoca della misura in favore della cassa integrazione a rotazione ogni quindici giorni. «Solo che le rotazioni hanno una strana ratio – racconta Andrea Morisco, Rsu Fiom – A Pomigliano ci sono due capannoni: quello dove si lavora di più, anche il sabato, con 18 turni e dove ci sono le tute blu della Cgil si fa la cig; nell’altro dove si fanno i 16 turni niente cassa. La cosa più strana di tutte è che otto operai sono stati lasciati a casa a zero ore. Niente di troppo evidente, un gruppo misto dove mettere i due additati dall’azienda come i maggiori responsabili della protesta». Cioè lo stesso Morisco e Cristian Avino, membro del direttivo Fiom di Napoli. «La Dema si comporta sulla falsariga della Fiat – spiegava Franco Bruno, della segreteria provinciale Fiom, durante una conferenza stampa – violando qualsiasi regola anche sul fronte dell’applicazione di una valanga di ore di straordinario nei reparti in cui si fa la cassa integrazione. Assume in modo clientelare e non versa alla Fiom decine di migliaia di euro di quote sindacali».

Le altre sigle dopo l’accordo scelgono la ritirata e rifiutano di convocare assemblee, la Fiom prosegue la protesta con nuovi picchetti, ipotizzando anche una denuncia all’ispettorato del lavoro e una al tribunale per comportamento antisindacale. Per il 28 giugno era previsto un nuovo presidio e il lunedì precedente ad Avino arriva una lettera di contestazione: quattro mesi prima, quando ancora andava in fabbrica, avrebbe navigato in internet su siti privati durante l’orario di lavoro (da ottobre 2013 a marzo 2014). «Cristian è un buyer – spiega Morisco -, si occupa di acquisti, tra i suoi compiti c’è la verifica dei prezzi in rete. Aveva semplicemente le mail aperte». Non sembrava una minaccia grave, facile da controbattere, ma giovedì scorso è arrivata la lettera di licenziamento, contro cui farà ricorso al tribunale per chiedere il reintegro. «Un’esecuzione davanti ai colleghi per far passare il messaggio che chi lotta per il proprio posto di lavoro lo perde» è il commento degli operai. «Quale clima ci sia alla Dema lo raccontano i fatti – conclude Morisco – L’azienda è talmente in salute da ricorrere sistematicamente agli straordinari poi però i conti della gestione non tornano e allora devono pagare gli operai con la cig. Al presidio sabato scorso il direttore del personale ci minacciava, urlava insulti a tal punto che il dirigente della digos lo ha invitato ad allontanarsi. Poi hanno fatto un comunicato in cui bollavano la protesta come “atti incivili e violenti”. Quello che volevano è una punizione esemplare per continuare a utilizzarci senza rendere conto di quello che fanno».