«La vicenda Volkswagen riguarda anche l’Italia», sostiene il responsabile nazionale auto della Fiom-Cgil, Michele De Palma. Difficile dargli torto: Lamborghini e Ducati fanno parte del gruppo di Wolfsburg, e c’è il settore della componentistica che ha grandi volumi di commesse dalla casa tedesca.

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Quali ripercussioni in termini economici e occupazionali vede nel nostro Paese?

È presto per dirlo, ma non c’è dubbio che siamo preoccupati, come lo sono anche le imprese. Il ministro del lavoro Poletti pare invece tranquillo, e io credo che sottovaluti la situazione. Certo, oggi nessuno può dire quale sarà il danno: il colpo alla credibilità alle aziende automotive, nessuna esclusa, non è ancora calcolabile. Ma qualcosa già si nota: ad esempio la Fca sta già pagando un prezzo in borsa. La nostra preoccupazione è che, alla fine, siano i lavoratori del settore a subirne le conseguenze: l’amministratore delegato può contare su una buonuscita di 60 milioni, i lavoratori no. Nello specifico dell’Italia, il primo timore è per la componentistica, che aveva retto anche durante la crisi della Fiat proprio grazie alla diversificazione dei clienti.

Non si potrebbe pensare che la crisi Volkswagen possa favorire la Fca?

Ho ascoltato interpretazioni di questo genere. Starei molto attento: la crisi Volkswagen non credo che si limiterà al solo marchio tedesco. E non solo per le ricadute sull’indotto, ma perché – lo ripeto – è tutto il sistema dell’automotive che può entrare in una fase molto difficile.

Ha avuto modo già di confrontarsi con lavoratori e delegati italiani del gruppo Volkswagen?

Sì, c’è un’attenzione altissima e ovviamente grande attesa rispetto alle scelte che farà la nuova dirigenza. Il momento è delicato, tutti ne sono consapevoli.

Come si deve rispondere alla crisi, secondo voi?

Con un intervento di carattere politico. Il governo dovrebbe convocare una consulta del settore dell’automotive con sindacati e imprenditori. Non è una richiesta nuova, la nostra: l’abbiamo avanzata quando il ministro dello sviluppo era Zanonato. All’epoca non abbiamo avuto nessuna risposta, oggi sollecitiamo di nuovo. Non ci illudiamo che una consulta dell’auto sia risolutiva, ma ci servirebbe, soprattutto nel rapporto con l’Europa. Attualmente abbiamo tre Paesi produttori con vocazioni diverse: l’elettrico in Francia, ibrido e diesel pulito in Germania, metano e diesel pulito in Italia. Credo serva una politica industriale europea, e per questo occorre che l’Italia abbia condiviso una strategia di sistema.

Con la vicenda Volkswagen torna d’attualità il difficile rapporto fra industria dell’auto e ambiente.

Certo. Nella comunità scientifica c’è dibattito su quale sia il reale impatto dei motori di cui parlavo: pensiamo a un’auto elettrica, ad esempio, nel caso in cui l’energia sia prodotta da una centrale nucleare. Questa crisi potrebbe essere l’occasione utile a politica, imprese, sindacato e mondo della ricerca per affrontare davvero la questione della mobilità in tutti i suoi aspetti, compreso ovviamente il suo impatto ambientale. Più in generale, bisogna comprendere che è il mondo dell’auto che si sta trasformando: ora ci sono Google ed Apple che si affacciano, perché meccanica, software ed elettronica sono sempre più integrati. E il potenziale ingresso di questi attori nel mondo dell’auto è indice di un quadro in mutamento, di uno scontro più generale. Non è un caso che l’ad di Fca Sergio Marchionne stia ripetendo da settimane che vuole una fusione con la General Motors.