Si accende quando vuole, a caso, per undici secondi, una volta all’anno ma non si sa quando!». Rimane a bocca aperta la piccola Agata di fronte alla spiegazione che il padre Alighiero (Boetti) le dà della sua Lampada annuale. Calcolano insieme, padre e figlia, che in anno ci sono 31.536.000 secondi e la bambina pensa disperata: impossibile! Per vederla accesa bisognerebbe mai più dormire, mai più allontanarsi! (Agata Boetti, Il gioco dell’arte con mio padre, Alighiero, Electa). Undici secondi infinitamente importanti, non undici secondi qualunque. Sarebbero poi di lì a poco, nella produzione boettiana, venuti i tempi lunghi dei Cimenti oppure la data scritta sul muro («…più invecchia e più diventa bella…») o ricamata o i calendari e gli orologi annuali. Settimane, date, quotidiani e quadratini, giorni e rintocchi di campane e molto altro sono sempre stati pane quotidiano per Alighiero Boetti. Ed infatti più volte Alighiero compare, nella mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (al Macro di Roma, visitabile fino al 2 ottobre, a cura di Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo). Compare come mentore, padre o fratello per gli artisti – molti e anche molto diversi fra loro – chiamati a parlare del rapporto col tempo.

Sedici anni dopo Tempo!, la rassegna al Palazzo delle Esposizioni di Roma proveniente dal Centre Pompidou, organizzata per celebrare il passaggio storico del millennio, si prova a fare il punto su questo tema, in un momento storico nel quale la dimensione temporale pare talvolta quasi azzerarsi tanto è diventata veloce (su Snapchat possiamo decidere in quanti secondi desideriamo che si autoelimini un’immagine che abbiamo appena messo in rete, con conseguente abbassamento della nostra soglia di inibizione).

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In alcune sale centrali sono presenti – indispensabili – artisti che fra gli anni sessanta e settanta hanno partecipato a pratiche espositive anch’esse legate a una dimensione temporale. Di Ceroli, che nel Teatro delle mostre di Plinio De Martiis aveva allestito Dal caldo al freddo, è presente nel percorso espositivo Oggi Domani Giorno Notte (1972): le lettere che compongono ciascuna di queste parole sono disposte, a terra, su quattro campioni di materiale per l’edilizia (vetro, ferro, mattoni e travertino).

Appoggiate invece alla parete stanno Alba, Giorno, Tramonto, Notte (1975-76), le quattro lastre di Mattiacci rispettivamente d’acciaio, cristallo, rame e ferro: materie dense e sature di colore sulle quali la luce si riflette in modo diversamente potente. Basta spostare di poco lo sguardo per approdare ad una zona calma, bianca e ossessiva. Le giornate di lavoro di Opalka si mostrano sotto forma di grandi tele in cui i numeri progressivamente vanno sempre più sbianchendosi e il suo viso, fotografato ogni giorno con la stessa camicia, mostra i segni del tempo mentre la voce scandisce nella lingua madre, il polacco, i numeri stessi. Quieto, ma ossessivo e abbacinante.

Oltre a regalare al pubblico i dieci giorni del 1583, cancellati dalla riforma calendariale di Gregorio XIII, nei Notturni Chiara Camoni usa come unità di misura il foglio: lo ricopre di matita scura, adattandosi ai periodi di sonno del figlio appena nato. Una pratica meditativa, assorta e solitaria, figlia dei mari blu delle biro boettiane, segnati dall’inconscio che emerge nel tratteggio (uomo, donna, ragazza, non si sa). Ci sono poi le date ricamate di Vezzoli e quelle dipinte di On Kawara (Today Series), ci sono date speciali come quella ultrafamosa e luttuosa di De Dominicis o le 366 date degli eventi epocali del secolo XX, riunite in unico grande pannello e tutte vissute in prima persona dall’autrice, come «21 febbraio New York. Ho ucciso Malcolm X mentre teneva un discorso ad Harlem» (Sono stata io. Diario 1900-1990, Daniela Comani).

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Poi ci sono i mille cieli di Luigi Ghirri fotografati ogni giorno e accostati uno all’altro come un grande puzzle, in cui le nuances di azzurro e blu incorniciano nuvole che cambiano in un istante o anche i 1440 minuti di Darren Almond che ferma le diverse gradazioni di luce nel suo studio.
Talvolta il senso del tempo può dilatarsi all’estremo: quello del carcere che non passa mai e non ha senso nel video di Gianfranco Baruchello e c’è anche quello che Federico Pietrella impiega, coi suoi timbri a data da ufficio, per comporre immagini complesse di piazze berlinesi.
A volte, lo puoi anche rimuovere, il tempo che passa. Sophie Calle accumula i regali del compleanno senza mai aprirli e loro si accatastano diventando di anno in anno oggetti senza senso in una sorta di tua memoria personale sepolta, forse ancora piena di imprevisti. Come quando Marina Abramovic scoprì di essere nata lo stesso giorno del suo compagno di una vita, Ulay. Lei, d’altra parte, ci ha detto che il tempo non esiste perché vive solo nel passato e nel futuro: è solo lì che lo possiamo pensare.