Premesso che non l’avevo mai fatto, mai avrei immaginato di farlo, forse, pentita, non lo farò mai più… invece, seguendo le orme di colui che l’ha fatto per primo e che, ahi noi, non lo fa più, ho messo le stellette. Per diradare la nebbia della confusione delle trentasette opere viste nelle ultime duecentosessantaquattro ore, ora più ora meno, ho scritto i titoli su un bel A4, divisi per sezioni di appartenenza e al lato ho messo le stellette. Da uno a cinque, mezzi voti compresi. Riguardandoli nell’insieme li ho poi corretti, nella comparazione. Dunque vi tedierò con la confessione dei miei preferiti e del perché (molti altri non li ho veduti).

A parità di 4 stellette, il prediletto del cuore: À peine j’ouvre les yeux delle Giornate degli autori, opera prima femminile che parla di rapporti tra madre e figlia, di liberazione, di musica in un Medio Oriente ostile. Uno solo della Settimana della critica, ma amato da morire: Jia (Famiglia), il polpettone di duecento ottanta minuti, la storia di una coppia di genitori anziani in pellegrinaggio, per un saluto finale, ai tre figli in giro per la Cina contemporanea. Del Concorso: L’hermine, A bigger splash, Rabin, Heart of a dog, Remember. Uno per sorridere con pensiero compiaciuto; il tuffo in piscina per godere nella magnificenza: dei luoghi, delle epidermidi, delle sfumature di sguardi, della musica a tutto volume, dell’autoironia del piccolo ruolo di uno dei comici più (giustamente) amati dalla sinistra italiana; per l’analisi politica di Gitai che colpisce a fondo e lascia un segno; non dimenticherò il parto, in animazione disegnata, da parte dell’umana Laurie Anderson di un animale a quattro zampe e non dimenticherò, come potrei, Christopher Plummer vendicatore demente senile, grande vecchio portatore del cinema del passato tutto nelle gonfie borse sotto gli occhi: da mettere nel taschino e portarselo a casa quando atteggia le labbra in qualcosa di incerto tra il riso e il pianto. U

ltimi due, sempre con 4 stellette, nella sezione Orizzonti: Tharlo, Candide in Tibet e Mountain, altra opera prima femminile con fortissimo personaggio di madre devota anima divisa in due o più di due. Sotto, con 3 e mezzo: Lolo (pruriginosamente spiritoso), Underground fragrance (nella tradizione di Tsai Ming-liang), Non essere cattivo (duro come un pugno nello stomaco), Francofonia (la fine della cultura in Europa vista dalla Russia), Marguerite (somma commediona di tradizione francese), Boi neon (brasilian cowboys), Madame courage (disperazione algerina senza scampo). In media ho visto poca, pochissima tenerezza, poco contatto fisico, nessuna speranza di salvezza. Aiuto: neppure il cinema ci scamperà dalla morte.

Momenti indimenticabili di questi ultimi undici (interminabili) giorni imprigionata al lido: il pagamento del dazio inevitabile, che pago ogni volta che vengo, per il mio concepimento, molti anni fa, in codesta città: la collanina di conchiglie greche; rubare svariati rotoli di carta igienica all’Excelsior per noi accampati in otto in 50 metri quadri con un solo bagno; il couscous vegano del Lions assieme a M, a A, a F, a G che elucubrano teorie trasversali sulle sorti del cinema, soprattutto italiano.

Finalmente, in conclusione, ho capito tutto: nella Casa Affollata il più vecchio aveva 10 anni meno di me! Piccini cari, col tempo diverrete aridi, malnutriti, paranoici e ossessivi come me, ahahaha! (disse la matrigna prima di lasciarli tutti in mezzo al bosco senza pane senz’acqua senza Gps). Alla prossima.