Con l’accordo del Comune di residenza e del beneficiario il lavoro obbligatorio previsto dal sussidio detto impropriamente «reddito di cittadinanza» potrà passare dalle attuali otto ore settimanali a sedici. Lo prevede l’intesa raggiunta ieri da Lega e Cinque Stelle nel corso di un vertice organizzato a palazzo Chigi. Non più dunque 36 ore a settimana, come proposto dalla Lega.

L’AUMENTO DELLE ORE, pur concepito sulla base di un rapporto tra il «povero assoluto» e il Comune, è rivelatorio dell’impostazione disciplinare del «reddito» gialloverde. La norma rischia di violare l’articolo 4, secondo comma, della Convenzione europea sui diritti umani secondo il quale «nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio». Senza contare che a queste otto-sedici ore si dovranno aggiungere, presumibilmente, le ore di formazione in corsi presso i centri per l’impiego (o altri enti) che aspettano di essere «riformati» dal governo, secondo un piano che, ad oggi e in vista della partenza a maggio, latita.

L’obiettivo è tenere occupata la giornata dei «poveri», a questo punto immaginata come vuota, e senza impegni. Il tutto in cambio di un sussidio, ancora incerto, ma ricavato dalla differenza tra il reddito Isee, altre variabili e il massimale di 780 euro mensili. Una stima Svimez ha calcolato una media di 390 euro. Una stima ancora da verificare. Non sembra prevista, al momento, una proporzionalità tra lo sfruttamento del lavoro obbligatorio (comunque non inferiore a otto ore) e l’impegno settimanale nei «servizi sociali» dei comuni.
La stessa impostazione, frutto di quel riflesso punitivo preventivo battezzato, indecentemente, «norme anti-divano» o «anti-furbetti», ritorna in altri emendamenti del governo. Ad esempio, non accederanno al «reddito di cittadinanza» coloro che hanno cambiato la residenza dopo il primo settembre 2018. Su questa norma sembra avere pesato anche una campagna mediatica, partita tempestivamente, che ha segnalato la crescita «anomala» di questi atti. I sindaci interessati, pur non escludendo tale eventualità, hanno segnalato che tale andamento rientrebbe al momento nella normalità. Risultato: se per caso un richiedente «reddito» ha cambiato residenza negli ultimi mesi non potrà ottenere il sussidio. Anche se ne ha realmente bisogno. Se resterà tale formulazione, il risultato rischia di essere paradossale.

Considerata la stima per cui una larga parte di «single» riceverà il sussidio, è stato inoltre previsto un rafforzamento dei controlli sulla vita affettiva delle persone. La commissione lavoro del Senato ha approvato l’emendamento, a firma Lega, secondo il quale il cambio di residenza deve essere certificato da apposito verbale della polizia locale in caso di «separazione o divorzio avvenuti successivamente alla data del primo settembre 2019».

Per chi renderà dichiarazioni mendaci, ad esempio sul proprio stato patrimoniale, non solo sono previsti fino a sei anni di carcere, ma anche l’esclusione per cinque anni dall’accesso al sistema. Viene così confermata la sproporzione delle pene tra chi compie un «reato di cittadinanza» e chi commette reati di abuso d’ufficio o edilizio, ad esempio.

LE INTESE SONO ARRIVATE all’indomani del No dei Cinque Stelle al processo a Salvini per la Diciotti. In cambio di maggiori controlli la Lega ha ritirato l’emendamento sui due anni di contributi negli ultimi dieci per l’accesso al sussidio. Dovrebbe essere sufficiente la presenza di un familiare in possesso di un permesso di soggiorno. Stralciata la norma sul tetto dei rinnovi del «reddito». Dovrebbe essere ritirato il divieto di cumulo dell’incentivo all’assunzione con il bonus Sud.

L’intervento per rafforzare il sostegno ai disabili dovrebbe arrivare con il passaggio dal Senato alla Camera. Il governo è alla ricerca di risorse per ampliare la platea. L’aumento di 0,1 punti della «scala di equivalenza» stabilita nel «decretone» costerebbe circa 80 milioni per una spesa di 400 milioni all’inizio, 373 milioni il primo anno, 460 milioni il secondo, circa 600 a regime. Per mancanza di coperture sono stati bocciati gli incentivi alle lavoratrici domestiche. La partita per l’Inps è in alto mare, ma è stato assicurato che la nomina per la presidenza arriverà entro la prossima settimana: in campo Nori, Di Michele, Reboani e altri.