Nessuna maxitangente. Nessuna mazzetta a questo o quel politico. Nessun finanziamento illecito ai partiti amici. Cioè tutti, nella consolidata tradizione del “groviglio armonioso” senese. Con buona pace della premiata ditta Grillo&Casaleggio e degli scatenati berluscones in campagna elettorale, l’acquisto di Banca Antonveneta da parte del Monte dei Paschi fu regolare. Assai costoso – 9,3 miliardi cash più altri 8 miliardi di debiti da saldare in tempi rapidi – e terribilmente avventato, alla fine di un 2007 nel quale aveva già preso corpo la tempesta finanziaria semiglobale. Però trasparente.

“Non sono stati individuati comportamenti penalmente rilevanti, né vantaggi personali. C’è una minuziosa ricostruzione di ciò che è avvenuto. Se agli atti non vi sono fattispecie di reato che riguardano il procedimento di acquisizione di banca Antonveneta, evidentemente questo non è stato viziato da fattispecie penalmente rilevanti”. Parola del sostituto procuratore Antonino Nastasi, che con i colleghi Aldo Natalini e Giuseppe Grosso ha lavorato per quasi due anni su una inchiesta cresciuta come panna montata. Ma nel filone dell’acquisto di Antonveneta, quanto mai mediatico-politico visti anche i suoi catastrofici effetti sulla più antica banca del mondo, l’avviso di chiusura indagini contiene solo ipotesi di reato tecnico finanziarie: manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza, falso in prospetto e false comunicazioni sociali per il bilancio 2008. Il tutto contestato, a vario titolo, a nove persone.

Fra i destinatari dell’avviso ci sono i vertici dell’epoca di Rocca Salimbeni, il presidente Giuseppe Mussari (solo per lui anche l’accusa di insider trading) e il direttore generale Antonio Vigni. Almeno in questo caso non c’è l’allora capoarea finanza Gianluca Baldassarri, l’unico finito in carcere nella maxinchiesta complessiva sul Monte. Mentre ci sono i due direttori finanziari di quegli anni, Daniele Pirondini e Marco Morelli, il capo dell’area legale Raffaele Giovanni Rizzi, il vicedirettore generale Fabrizio Rossi, e l’intero collegio sindacale (Tommaso Di Tanno, Pietro Fabretti e Leonardo Pizzichi).

Gli ultimi due avvisi di conclusione delle indagini sono stati notificati a Banca Mps e a Jp Morgan Securities Ltd, che è fra le principali banche d’affari del pianeta oltre che azionista di minoranza del Monte con poco meno del 3%. Entrambe sono accusate di illecito amministrativo, in base alla legge 231 sulla responsabilità delle imprese per reati commessi dai dipendenti. Proprio questa ipotesi di reato, a forte rischio di prescrizione (5 anni), ha costretto la procura senese guidata da Tito Salerno a chiedere e ottenere dal gip una procedura d’urgenza, che consentirà di far partire a settembre le richieste di rinvio a giudizio. Dopo le eventuali memorie difensive, o ulteriori interrogatori chiesti dagli indagati.

I reati ipotizzati non riguardano l’acquisto di Antonveneta ma le operazioni messe in piedi per finanziare l’operazione. Nelle circa 20mila pagine dell’inchiesta (esclusi i supporti informatici, cioè le intercettazioni telefoniche), in estrema sintesi si spiega che la situazione patrimoniale del Monte non era tale da permettere quell’esborso monstre di 16 miliardi. Di qui nel 2008 il primo aumento di capitale da 5 miliardi, e soprattutto l’emissione di un miliardo di titoli Fresh (obbligazioni convertibili) concesso da Jp Morgan, ma che per l’accusa era un vero e proprio prestito a Rocca Salimbeni. Costato 76 milioni di interessi (stima Bankitalia), e comprovato da una “indemnity side letter” tenuta all’oscuro della stessa Bankitalia. Insomma una sorta di accordo parallelo nascosto, che nel marzo 2009 fu utilizzato una seconda volta, con la Bank of New York. Mentre secondo i pm aumentavano i silenzi, le omissioni e le bugie dei nove indagati di fronte alle, ufficialmente incolpevoli, autorità di vigilanza. Cioè Bankitalia e Consob.

In seguito, nella sempre più affannosa ricerca di soldi per pagare Antonveneta e i suoi debiti, Mussari &c. avrebbero lasciato campo libero a Baldassarri per le “ristrutturazioni” dei già fallimentari derivati Alexandria e Santorini. Ma questo è un altro filone della maxinchiesta, ancora da chiudere.