Tra campionati europei di calcio, aperitivi e vacanze incipienti, solo pochi esperti hanno annotato l’inversione di marcia. A cavallo tra giugno e luglio nell’Unione europea il numero giornaliero di nuovi casi positivi al coronavirus ha ricominciato a salire, dopo una discesa ininterrotta da metà aprile. Oltre a Spagna, Portogallo e Grecia, dove la crescita è più marcata, anche i “grandi” Germania, Francia e Italia in questi ultimi giorni hanno visto stabilizzarsi il numero dei casi, con qualche segnale in controtendenza rispetto al miglioramento degli ultimi mesi. Da noi la media dei nuovi casi su base settimanale (calcolata in modo da compensare i cali dei test del weekend) da un paio di giorni ha ripreso ad aumentare, dopo dieci settimane consecutive col segno meno.

La causa non è certo un mistero: la combinazione tra la variante “delta” e le riaperture hanno ridato fiato al virus. Né si tratta di una sorpresa: bastava osservare il Regno Unito, dove ieri sono stati registrati quasi 25 mila nuovi casi positivi al virus, per capire verso dove si dirigesse la curva. Non è nemmeno il fallimento delle misure di contenimento alle frontiere. I buchi ci sono stati, e mantenere il calendario degli europei ha aiutato la diffusione della “delta”, secondo gli esperti dell’Oms. Ma il virus non conosce i confini e al massimo può aspettare qualche giorno prima di varcarli.

L’ultima “indagine rapida” dell’Istituto Superiore di Sanità testimonia che anche da noi è la variante delta a condurre le danze. È arrivata quasi al 23%, quando solo a metà maggio era ancora così rara da sfuggire ai sequenziamenti. E non è l’unica a crescere: anche la “gamma” sarebbe salita dal 7 all’12%. Sono cifre da prendere con le pinze, a causa del grande margine di incertezza: secondo gli epidemiologi, la “delta” è compresa tra lo 0 e il 71% con il 95% di probabilità, la “gamma” tra lo 0 e il 37%. In ogni caso segnalano un trend, lo stesso di tutti i paesi europei e non solo. È probabile che anche l’indice Rt, ora stimato a 0,63 dall’Iss, risalga verso 1 nelle prossime settimane.

La prospettiva di tornare a contagi giornalieri a cinque cifre anche in Italia, dopo il Regno Unito, non alletta nessuno. Eppure, proprio il Regno Unito insegna a evitare catastrofismi. È ottimista persino uno come Massimo Galli, direttore delle Malattie Infettive al “Sacco” di Milano intervistato dalla Rai: «Francamente non credo si possa pensare al rischio di una nuova ondata pandemica con la portata di quella dell’anno scorso». È d’accordo con lui il virologo dell’università di Milano Fabrizio Pregliasco: «Mi aspetto un incremento di casi ma non un costo di sofferenze elevato». «Vedo la differenza sulle due modalità con cui la variante Delta si sta facendo vedere, in Inghilterra e in Russia» spiega Pregliasco. «In Inghilterra si vede che i valori crescono ma la vaccinazione in quota rilevante evita l’infezione ma soprattutto evita i casi più gravi». L’isola registra una ventina di decessi al giorno in media. Mentre i nuovi casi sono cresciuti di quindici volte in un mese e mezzo, i pazienti in rianimazione sono passati da cento a trecento circa, un aumento tutto sommato contenuto e sopportabile dalle strutture sanitarie. In Italia i tassi di vaccinazione sono vicini a quelli inglesi (57% contro il 66%), dunque è prevedibile un’evoluzione analoga nelle settimane a venire. La speranza è scongiurare lo scenario “russo”. Con un numero di casi identico a quello inglese, nella Federazione ieri si sono registrati ben 697 decessi, da imputare alla bassa percentuale di vaccinati.

Nessuno però vuole ripetere l’errore di sottovalutare il virus. Gli esperti dell’Iss, nell’ultimo monitoraggio, invitano a «mantenere elevata l’attenzione, così come ad applicare e rispettare le misure necessarie per evitare un aumento della circolazione virale». Roberto Burioni, virologo al San Raffaele di Milano, rilancia un tema che negli ultimi tempi sembrava superato: «Bisogna che la politica prenda seriamente e VELOCEMENTE (maiuscolo suo, ndr) in considerazione l’obbligo vaccinale per tutti o si rischia grosso» twitta. «Il virus non è più quello che abbiamo conosciuto, è diventato molto più pericoloso». Il timore è che lasciare correre il virus favorisca lo sviluppo di varianti sempre nuove, col rischio che ne nasca una in grado di sfuggire ai vaccini attuali. E questo davvero vanificherebbe gli sforzi di tutti.