La Spagna oggi avrà un nuovo governo a guida socialista. Dopo i due tentativi falliti di Pedro Sánchez di diventare il capo dell’esecutivo spagnolo nel 2016, lo storico voto che lo incoronerà come il nuovo presidente del governo avverrà nel corso della giornata di oggi. È la prima volta che in Spagna una mozione di sfiducia viene approvata: quella di oggi, presentata dai socialisti una settimana fa, dopo la dura sentenza sul caso di corruzione che condanna esponenti di primo piano del partito popolare, è la quinta della storia democratica di questo paese.

L’ultima, l’aveva presentata Unidos Podemos un anno fa: allora i socialisti si astennero. Oggi invece, a fianco dei socialisti e dei deputati di Unidos Podemos e alleati – che dal primo momento hanno regalato a Sánchez il voto senza chiedere nulla in cambio pur di allontanare il Pp dalle leve del potere – si schiereranno i nazionalisti catalani del PdCat e di Esquerra Republicana, i nazionalisti baschi del Pnv e una manciata di altri deputati. I Sì si assesteranno sui 180, 4 in più della maggioranza assoluta necessaria.

IL QUADRO POLITICO si è andato chiarendo ieri durante il dibattito parlamentare. Sia il PdCat che Esquerra hanno offerto i loro voti per «sfrattare» Rajoy, «principale responsabile della crisi catalana». Ma il sì chiave è arrivato dai baschi, che con i loro 5 deputati hanno fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte di Sánchez. Una settimana fa, era stato il loro voto a salvare il bilancio 2018 di Rajoy.

LA PRESENTAZIONE della sfiducia al Congresso da parte di un portavoce socialista – Sánchez non è più deputato da quando si dimise per non votare il Sì a Rajoy che un Psoe diviso decise nel 2016 – è iniziata ieri con la durissima lettura della sentenza del cosiddetto caso Gürtel. Una volta presa la parola, il candidato Sánchez ha attaccato Rajoy: «Incapace di assumere in prima persona le responsabilità politiche». Il discorso del candidato è stato attento: per evitare l’accusa di sete di potere da parte del Pp, è stato Sánchez stesso a proporre che Rajoy si dimettesse per bloccare tutto. Se l’avesse fatto – l’ipotesi è circolata tutto il giorno – il re avrebbe dovuto iniziare un giro di consultazioni. Forse Sánchez avrebbe potuto ottenere l’incarico ma si sarebbe aperto un periodo incerto, anche se in questo caso per Sánchez sarebbe stato più semplice ottenere i voti (in seconda votazione non serve la maggioranza assoluta).

Sánchez è stato abile verso i futuri alleati: a sinistra, ha promesso che avrebbe ripreso le leggi e le mozioni approvate dal congresso e che il governo del Pp non ha applicato, come la legge per cambiare la guida della radiotelevisione pubblica (che sarà chiave per le prossime elezioni), la riforma della durissima legge bavaglio, la cancellazione della tassa sull’energia solare, la reintroduzione dell’universalità del sistema sanitario (il Pp aveva lasciato fuori i migranti), una legge sull’uguaglianza salariale fra uomini e donne, l’applicazione del patto di stato sulla violenza di genere, il rilancio del sistema nazionale sulla scienza e sulla tecnologia. Ai catalani ha promesso di «tendere ponti», che difenderà la «Spagna plurale» di zapateriana memoria e ha addirittura riconosciuto che «ci sono territori che si sentono nazioni». E soprattutto ha promesso al Pnv che non salterà la finanziaria del Pp appena approvata (che dà ampi benefici economici ai baschi): a oggi, manca l’approvazione definitiva al senato (dove il Pp ha la maggioranza assoluta).

 

RAJOY HA RISPOSTO con durezza a Sánchez, con un tono rassegnato più da leader dell’opposizione che del governo. Ma potrà ancora mettere i bastoni fra le ruote: Pp con Ciudadanos hanno ancora la maggioranza della presidenza del Congresso. Dopo un botta e risposta con Sánchez, l’ormai ex presidente del governo, in un ultimo gesto di spregio, lasciava l’emiciclo dove non si è più presentato per il resto del dibattito. Chi perde, oltre al Pp, è chiaramente Ciudadanos che si è trovato spiazzato. Rivera ha implorato nuove elezioni, dopo aver sostenuto Rajoy. Ma oggi entrambi hanno perso la partita.

Se c’è una cosa su cui tutti gli altri partiti sono d’accordo è proprio bloccare l’ascesa degli arancioni.

Il nuovo governo, dice Sánchez, sarà «paritario» e «europeista», ma per ora non sappiamo null’altro. A parte che sarà difficile duri i due anni che mancano di legislatura.