«Il signor Gelli è malato, non può rispondere al telefono» fanno sapere i domestici. Il volto del Venerabile è sofferente, una maschera, come quelle in stile veneziano che ogni anno al «Carnevale dei figli di Bocco» invadono Castiglion Fibocchi. Ieri per Licio Gelli, 94 anni a febbraio, è stato un giorno amaro. La storica dimora villa Wanda, quella che chiamò in onore della prima moglie Wanda Vannucchi, morta vent’anni fa, è finita sotto sequestro preventivo, ordinato dalla procura di Arezzo per reati fiscali e sottrazione fraudolenta di 17 milioni di euro. Insieme a lui sotto inchiesta sono finiti la seconda moglie Gabriella Vasile, i tre figli, Maurizio, Maria Rosa e Raffaello, e un nipote. Costoro, consapevoli dei rilevanti debiti, e prevedendo l’attivazione delle procedure di riscossione coatta da parte di Equitalia, hanno pianificato e realizzato, in un breve arco di tempo, una serie di atti e negozi giuridici fittizi per svestirsi della proprietà della villa mediante la simulazione della dismissione a terzi ossia una società con sede a Roma e precostituita ad hoc. Villa Wanda è stata il centro del comando gelliano, un avamposto di trame e misteri. Adagiata sulla collina di santa Maria delle Grazie ad Arezzo, alla cui base in epoca etrusca sorgeva la fons Tecta, dalle acque «miracolose», circondata dall’omonimo santuario con l’elegante portico di Benedetto da Maiano che orna la chiesa ricca di opere dei Della Robbia e di Parri di Spinello, era di proprietà dei Lebole, i grandi industriali aretini dell’abbigliamento.

Il patriarca, e cavaliere del lavoro, Mario Lebole aveva un feeling con il pistoiese Gelli. Un connubio tanto stretto che il suo nome è tra i primi nella lista degli affiliati alla P2 (sequestrata negli uffici della Giole srl a Castiglion Fibocchi nel marzo 1981). Giusto accanto a quello di un altro (ex) cavaliere, quel Silvio Berlusconi che nel giugno scorso si è ritagliato dalla sua fitta agenda una mezza giornata per fare il testimone di nozze a Simonetta Lebole, figlia di Mario. Gelli aveva un debole per i Lebole, ed era con affetto ricambiato. Fino a quando, in piena crisi dopo lo scandalo della P2, iniziarono una serie di disavventure che terminarono con il suicidio di Mario, che si era ritrovato una sua azienda piena di debiti e in amministrazione controllata. Però fino ad allora il sodalizio andò benissimo, tanto che il Venerabile della P2 ebbe un ruolo di rilievo in due società del gruppo: la Giole e la Socam srl.

Era, dunque, villa Wanda il simbolo del connubio Gelli-Lebole. Un tempo chiamata villa Carla, fu venduta a Gelli quando questi divenne socio di una della loro società, l’azienda di materassi Dormire, quale prezzo della sua mediazione nella vendita all’Eni della Lebole Euroconf spa, grande azienda di abbigliamento di consumo chiusa da anni. Trentasei stanze distribuite su tre livelli più una mansarda, grandi saloni con mobili d’epoca, quadri antichi e preziosi tappeti al primo piano, lo studio di Gelli con annesso archivio (quello che l’11 febbraio 2006 era stato donato a Pistoia) al secondo, camere da letto al terzo, la villa per oltre trent’anni ospitò i più potenti personaggi della politica e dell’economia. Nel 1980 nel giardino fu ritrovata un’antica statua del Cinquecento della madonna della Consolazione, rubata nel santuario di santa Maria della Consolazione di Rotonda (Potenza). Qualche anno dopo ancora in giardino, vennero scoperti decine di lingotti d’oro.

A villa Wanda il Venerabile tornò dopo la prima latitanza nel 1988. E da lì sparì di nuovo ai primi di maggio del ’98, nonostante fosse sorvegliato dalla polizia. Gelli riuscì a sgusciare fuori per una cena di famiglia al ristorante Acquamatta di Capolona, e poi si eclissò. Era inseguito da un ordine di cattura per una condanna definitiva per il crack del Banco Ambrosiano. E quando fu arrestato, e messo ai domiciliari, scelse di scontare la pena proprio a villa Wanda. Nel gennaio del 2006, per recuperare le spese processuali sul crack del Banco Ambrosiano, lo Stato italiano decise di mettere la villa all’asta. Era tutto era pronto, ma arrivò improvvisa la sospensiva del giudice. La magione non venne ceduta all’incanto, e il celebre inquilino non fu sfrattato né tantomeno costretto ad abbandonare la casa che era sua da quasi mezzo secolo. Fino a ieri, quando la Gdf ha messo i sigilli alla magione. Decretando la fine di un’era.