Dove se n’è andata Chantal Sebire, la donna francese affetta da una rara forma di tumore che le aveva sfigurato il viso e che, non avendo ottenuto dal tribunale di Digione l’autorizzazione all’eutanasia, un giorno infine si tolse la vita? E dove sono Lucio Magri, Mario Monicelli, Carlo Lizzani, Michele Troilo, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro…? Ogni credo, ogni sensibilità ha la propria risposta. Di certo sappiamo solo qual è stata la loro scelta finale e il vuoto di diritto che quelle morti hanno evidenziato. Ma ieri, dopo le parole con le quali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha salutato l’iniziativa dell’associazione radicale Luca Coscioni – che ha chiesto l’avvio di un’indagine conoscitiva su come si muore in Italia e la ripresa della discussione dei progetti di legge sul fine vita, e anche oggi ritorna sulla legalizzazione dell’eutanasia presentando alla Camera una legge di iniziativa popolare – la levata di scudi dei cattolici oltranzisti, seppur con toni un po’ più contenuti, non si è fatta attendere. «Ritengo anch’io che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita e eludere “un sereno e approfondito confronto di idee” su questa materia – ha scritto il capo dello Stato – Richiamerò su tale esigenza, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, l’attenzione del Parlamento». Una «visione» che per l’ex “sottosegretaria alla Vita”, Eugenia Roccella, «rischia di essere parziale e unilaterale se il confronto avviene solamente con le associazioni favorevoli all’eutanasia, come già accadde con il caso Welby». Segue, manco a dirlo, lo stop di Maurizio Sacconi: «Il Nuovo centrodestra muove dal favore per la vita», informa il presidente dei senatori Ncd. Perciò – è il succo del discorso – va bene il confronto ma a patto di una «moratoria legislativa».

Eppure parlano chiaro i dati forniti dal consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, Carlo Troilo, che ieri ha iniziato uno sciopero della fame in occasione del decimo anniversario del suicidio di suo fratello Michele, malato terminale di leucemia: «Secondo l’Istat negli ultimi dieci anni si sono verificati in Italia 10 mila suicidi e oltre 10 mila tentati suicidi di malati. Praticamente mille l’anno». Non solo: «Ogni anno – aggiunge Troilo citando uno studio del 2007 dell’Istituto Mario Negri – nei reparti di terapia intensiva 20.000 malati terminali muoiono con l’aiuto dei medici, quasi sempre con l’assenso dei familiari». E se non bastasse, nella conferenza stampa tenuta insieme ad amici e familiari di persone che hanno scelto il suicidio, Troilo ha ricordato l’inchiesta della rivista scientifica Lancet del 2008 secondo cui «in Italia il 23% dei decessi è stato preceduto da una decisione medica e il 79,4% dei medici è disposto a interrompere il sostentamento vitale», e il dato rivelato nello stesso anno dal Guardian secondo cui due terzi delle morti registrare in Gran Bretagna sono per eutanasia: un terzo sarebbero «dovute a deliberate overdosi di morfina e un terzo alla rimozione dei supporti vitali, atti premeditati dagli staff medici».

E infatti: «Drammatici nella loro obbiettiva eloquenza – sottolinea nella lettera, Giorgio Napolitano – sono d’altronde i dati resi noti da diversi istituti che seguono il fenomeno della condizione estrema di migliaia di malati terminali in Italia». Per questo, come suggerisce l’oncologo Umberto Veronesi nel video-messaggio inviato come contributo all’iniziativa Radicale, «occorre sviluppare una medicina della responsabilità dell’individuo e abbandonare la medicina paternalistica. Nel nuovo quadro dei diritti del malato, va perseguito il diritto dell’autodeterminazione: abbiamo l’ovvio diritto di programmare la vita e anche il termine della vita».

D’altra parte, «ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell’eutanasia legale», ricordano i Radicali nel preambolo della loro proposta di legge di iniziativa popolare su «rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia». Un testo composto di quattro articoli che potrebbe bastare a sostituire la legge sul testamento biologico arenatasi fortunatamente al Senato nel 2011, e che, modificando anche il codice penale, dispone i limiti di persecuzione dei medici e del personale sanitario che abbiano «praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente». Ma invece ieri 15 senatori del Pd hanno chiesto di riaprire la discussione a partire però non dal «testo schifezza» di Calabrò ma dal ddl di Ignazio Marino che, spiegano in una nota gli esponenti democratici, «prevede dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, al fine di evitare l’accanimento terapeutico».