Manca ancora la decisione ufficiale del Papa, che probabilmente arriverà oggi, ma il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, dovrebbe essere il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana.

Ieri mattina, nel corso dell’assemblea dei vescovi, si sono svolte le votazioni per individuare la terna di nomi da presentare al Papa, e Bassetti, come previsto, è risultato il primo degli eletti, con un totale di 134 voti, ottenuti al termine di una complicata procedura di votazioni assembleari e ballottaggi. Al secondo posto monsignor Franco Giulio Brambila (115 preferenze), vescovo di Novara, anch’egli ampiamente annunciato alla vigilia. Terzo è il cardinal Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento in prima linea sulla questione immigrazione (Lampedusa si trova nella sua diocesi) e presidente della Caritas italiana, con 124 voti (il fatto che il terzo abbia più voti del secondo fa parte della farraginosità del sistema elettorale), un nome meno scontato, ma che era comunque entrato nel toto-presidente.

Francesco non è obbligato a scegliere il primo classificato, potrebbe addirittura ignorare la votazione: «Ricordate che non sono vincolato dalla terna», avrebbe detto ieri il Papa nella riunione a porte chiuse con i vescovi. Ma visto che tanto ha insistito perché i vescovi eleggessero direttamente il proprio presidente, come avviene in tutte le conferenze episcopali del mondo (la terna è una soluzione di mediazione fra l’elezione diretta e la decisione affidata esclusivamente al Papa), pare difficile, nonché poco coerente, che non tenga conto dei risultati e che non nomini la “prima scelta” dei vescovi. Anche se il ritardo della decisione potrebbe pure far sospettare qualche sorpresa.

In ogni caso Bassetti gode sicuramente del gradimento di Francesco: lo ha nominato cardinale nel suo primo concistoro nel febbraio 2014 rompendo la tradizione delle diocesi cardinalizie (a cui Perugia non appartiene); gli ha affidato la stesura delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo nel 2016; lo ha inserito nella Congregazione vaticana dei vescovi al posto di Bagnasco, presidente della Cei uscente; e al compimento dei 75 anni, quando secondo il Diritto canonico i vescovi presentano le proprie dimissioni al Papa per raggiunti limiti di età, lo ha prorogato «donec aliter provideatur» (finché non si disponga diversamente), allungando il suo mandato per un eventuale quinquennio alla Presidenza della Cei.

Impegnato su temi sociali e sull’ecumenismo, Bassetti ha un profilo maggiormente pastorale rispetto a quello di Bagnasco. Non sarebbe un presidente di “rottura” – come potrebbe essere in parte Montenegro, attestato su posizioni “di frontiera” –, ma segnerebbe comunque un moderato cambiamento di linea rispetto a Bagnasco, sempre all’interno del recinto della tradizione.

Dal canto suo, ieri Bagnasco, che è stato salutato da Francesco in modo piuttosto sibillino («la ringrazio per la pazienza, non è facile lavorare con questo Papa»; in ogni caso «lei passa da una presidenza all’altra», alludendo al fatto che Bagnasco è stato eletto alla guida del Consiglio delle Conferenze episcopali europee), si è congedato dai vescovi con l’ultima prolusione, nella quale ha voluto richiamare alcuni temi etici e politici che gli sono particolarmente cari.

A cominciare dal rischio «populismo che – ha detto –, mentre afferma di voler semplificare problemi complessi e di promuovere nuove forme di partecipazione, si rivela superficiale nell’analisi come nella proposta, interprete di una democrazia solo apparente. Ci si chiede, pertanto, se serva veramente la gente, oppure se ne voglia servire; se intenda veramente affrontare i problemi o non piuttosto usarli per affermarsi». Poi alcuni “cavalli di battaglia”: le «derive antropologiche», l’attacco alla famiglia («la cultura disprezza la famiglia e la politica la maltratta», proponendo «nuove forme, più aggiornate, si dice, più efficaci e libere») e «il sostegno alla scuola paritaria, puntualmente messo in discussione da un pregiudizio ideologico». E con questo termina l’era Bagnasco.