Business as usual ha voluto la maggioranza al senato, quando si è trattato di respingere ogni possibilità di partecipazione ai lavori da remoto. E puntualmente la conversione del maxi decreto Cura Italia si è trasformata in un percorso a ostacoli, impossibile da portare a compimento ora che l’epidemia minaccia i numeri dell’aula, già poco tranquillizzanti per il governo. L’arma della fiducia resta carica, ma viste le circostanze si avvicina a un azzardo, oltre che a una clamorosa smentita della mano tesa all’opposizione. Una collaborazione effettiva è indispensabile, viceversa l’atteggiamento non collaborativo dell’opposizione può bloccare tutto. È successo ieri sera, quando la commissione bilancio del senato si è riunita (nella più ampia sala Koch per tenere le distanze di sicurezza) e non è riuscita a votare neanche uno degli oltre mille e duecento emendamenti del fascicolo. Solo quelli segnalati (quelli ai quali i gruppi non intendono rinunciare) sono 520. Impossibile smaltirli in una sola giornata, quella di oggi, e dunque rispettare il calendario portando il provvedimento in aula domani, anche se il presidente della commissione Pesco (5 Stelle) dice che ci tenterà. Più probabile che slitti l’approdo in aula o che la legge di conversione ci arrivi senza relatore. Tutte soluzioni che mortificheranno il lavoro del parlamento sugli atti del governo, proprio quello che si voleva difendere opponendosi alla partecipazione online.

Ieri sera il centrodestra negava in ogni modo di aver fatto ostruzionismo, pratica difficile da giustificare quando bisogna rispondere all’emergenza coronavirus. Ma è stata la richiesta della Lega di votare tutti i suoi emendamenti e non solo quelli segnalati a far saltare le sedute di ieri. Tempo utile anche alla maggioranza, dopo che l’incontro di ieri mattina del ministro D’Incà con le opposizioni non aveva superato lo stallo. Tutti sanno che sarà impossibile votare in aula un numero alto di emendamenti, visto che ogni votazione somiglia a una manovra militare: niente voto elettronico e senatori tenuti a distanza di sicurezza. Per questo D’Incà ha chiesto al centrodestra di conservare solo qualche emendamento bandiera, rigorosamente senza oneri perché le coperture sono quelle che sono e non si può andare oltre, e trasformare tutti gli altri in ordini del giorno che il governo si impegna ad accogliere (così da non doverli votare, tanto sono impegni che si dimenticano presto).

«La collaborazione non significa solo ascolto, ma anche condivisione concreta», hanno detto i senatori della Lega, che alla maggioranza hanno presentato una serie di proposte tutte ad alto impatto finanziario: sospensione delle bollette fino a settembre, stop agli affitti per le società sportive, aumento di stipendio per i medici e gli infermieri (che ci sarà) oltre a un ennesimo “saldo e stralcio” delle cartelle Equitalia. Il partito di Giorgia Meloni, che insiste per inserire il «Golden power» già in questo decreto, si è smarcato dalla Lega spiegando di aver ridotto a 20 i suoi emendamenti, più 6 ordini del giorno. In ogni caso in aula bisognerà correre, considerando che siamo al primo passaggio, che è prevedibile una terza lettura del decreto e che a fine aprile il decreto scade. Va messa in conto anche la fibrillazione tra alleati, rintracciabile per esempio in un emendamento del relatore su Alitalia: la newco non sarà più affare del solo Mise ma anche dei ministri Patuanelli, Catalfo e De Micheli, due a due per Pd e 5 Stelle. La novità è negli emendamenti presentati dal relatore Pesco, le uniche certezze della giornata di ieri. Tra le quali la detraibilità delle donazioni alla Chiesa e due milioni di euro per le scuole paritarie. Idee della maggioranza. a. fab.