L’ultimo caso di censura di un’opera cinematografica in Italia risale appena al 2012, quando la Commissione di revisione cinematografica ha negato il rilascio del nulla osta per l’horror indipendente Morituris di Raffaele Picchio – «per motivi di offesa al buon costume», e perché «la Commissione ritiene la pellicola un saggio di perversività e sadismo gratuiti» – mentre nel 1998 era stata la volta dello «scandalo» di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco. Da ieri, annuncia Franceschini, questo non potrà più accadere: è stata «abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti» ha dichiarato il ministro della cultura dopo aver firmato il decreto attuativo della Legge cinema che istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche.

CON L’ISTITUZIONE di questa commissione al posto di quella di revisione non sarà più possibile negare il nulla osta a un’opera cinematografica o imporre dei tagli e modifiche affinché possa circolare nelle sale e avere un percorso più facile in televisione: gli «esperti» sono chiamati a valutare solo la corretta classificazione dell’opera da parte della produzione, incaricata di «catalogare» il proprio film in base alle quattro fasce previste dalla Legge cinema del 2016: opere per tutti, opere non adatte ai minori di anni 6, opere vietate ai minori di anni 14, opere vietate ai minori di anni 18. «La classificazione – recita la legge – è proporzionata alle esigenze della protezione dell’infanzia e della tutela dei minori, con particolare riguardo alla sensibilità e allo sviluppo della personalità propri di ciascuna fascia d’età e al rispetto della dignità umana».
La nuova commissione è composta da un presidente (il Presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno) e 49 membri, di cui 14 «scelti tra professori universitari in materie giuridiche, avvocati, magistrati assegnati a incarichi presso il tribunale dei minori, magistrati amministrativi, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari»; sette scelti fra «esperti» di «aspetti pedagogico-educativi connessi alla tutela dei minori», altri sette «tra professori universitari di psicologia, psichiatria o pedagogia, pedagogisti e educatori professionali»; ancora sette «sociologi con particolare competenza nella comunicazione sociale e nei comportamenti dell’infanzia e dell’adolescenza», sette «designati dalle associazioni dei genitori maggiormente rappresentative»; quattro provenienti dal campo cinematografico e tre «designati dalle associazioni per la protezione degli animali maggiormente rappresentative».

IN QUESTA PLETORA di esperti – di nomina governativa, e dunque di certo non immune alle tendenze politiche del governo in carica – non può però non colpire il basso numero di figure con competenze strettamente cinematografiche contro un affollamento di psicologi, pedagogisti, sociologi. Ma soprattutto resta irrisolta una questione non secondaria: se ora la classificazione spetta a produttori e distributori, e ai quarantanove non resta che verificare l’adeguatezza della loro scelta, chi garantisce che la scomparsa della censura statale non diventi autocensura per non entrare nemmeno in conflitto con la commissione? Notoriamente i divieti costituiscono una grave penalizzazione per un film – e la mostra permanente online cinecensura.com (promossa dal Mibac) evidenzia anche i tanti casi in cui un divieto ha fatto sì che fosse la stessa produzione o distribuzione a intervenire censurando un film. Un esempio recente è The Wolf of Wall Street di Scorsese, dove a un primo parere della Commissione di revisione che concedeva il nulla osta con un divieto ai minori di 14 anni ne segue uno che toglie ogni divieto – grazie a decine di tagli al film che «annacquavano» le scene di sesso, assunzione di droga, violenza sugli animali eccetera (poi ulteriormente massacrate per il passaggio su Rai2). In che modo insomma decine di esperti dell’infanzia, rappresentanti delle associazioni dei genitori e animaliste, potranno garantire la libertà del cinema contro il moralismo che da sempre ne fa strage?