Si concluderà l’11 marzo il lungo proceso elettorale – iniziato il 26 novembre dello scorso anno- per eleggere i 612 parlamentari dell’Assemblea nazionale del Poder pupular, il Parlamento cubano.

LA LEGGE ELETTORALE dell’isola prevede che fino al 50% dei deputati siano scelti tra i delegati municipali e provinciali (eletti in precedenza) e i candidati proposti dalle organizzazioni sociali (Unione degli studenti, delle donne ecc).

Una volta insediati, il 19 aprile, i deputati nazionali – che restano in carica cinque anni- sceglieranno e voteranno le principali cariche del governo del paese, tra le quali il presidente e il vicepresidente di Cuba. Quest’anno il processo elettorale –il cui agente principale secondo la Costituzione è la «società civile», ma che è ampiamente influenzato dal partito comunista- assume una particolare rilevanza, perchè l’attuale presidente Raúl Castro ha annunciato che non riproporrà la sua candidatura..

IL PROSSIMO GOVERNO dunque non solo non sarà retto da un Castro – gli analisti tendono ad escludere che la carica sarà affidata ad un altro componente della famiglia – ma si prevede un parziale rinnovamento generazionale del vertice del potere legislativo ed esecutivo.
La logica politica – ma non certa a Cuba – indica come probabile successore l’attuale vice presidente Miguel Díaz-Canel che da alcuni anni viene «preparato» a questa carica.

INOLTRE RAÚL CASTRO resterà primo segretario del Partito comunista, carica che gli permetterà di «vegliare» sul suo delfino. Il quale dovrà affrontare un compito assai difficile, visto che il processo di riforme voluto dal suo predecessore sta avanzando con grande lentezza- –e nel caso del lavoro privato (cuentapropistas) con alcuni passi indietro per «studiare migliormaneti»- mentre vi sono questioni ineludibili da affrontare. In primis, eliminare la doppia moneta circolante: il peso cubano col quale in generale si pagano i salari statali e il peso convertibile (Cuc) necessario per comprare i beni fondamentali per vivere.

QUESTO DUALISMO monetario, con il rompicapo dei tassi di cambio in vigore, rende difficile attuare un’amministrazione trasparente e dunque frenare la corruzione. Come pure dare incremento agli investimenti esteri, già resi difficile da una burocrazia che tarda anni a concedere licenze, in aperta contraddizione con le indicazioni del governo che vedono negli investimenti esteri un motore indispensabile per lo sviluppo dell’isola.

L’economia statale non va certo meglio, visto che le imprese che producono reddito – come la telecom Etecsa- sono obbligate a versare la maggioranza dei loro profitti per finanziare imprese inefficenti e impedire il loro fallimento e la conseguente disoccupazione.

IL QUADRO INTERNAZIONALE, poi, è sfavorevole. Il presidente Usa Trump ha di fatto congelato l’ambasciata, che non dà visti consolari, frena il turismo statunitense nell’isola impedendo il turismo individuale, boicotta con l’embargo le industrie più dinamiche di Cuba.

Contemporanemanete, si riduce l’intercambio economico col Venezuela. Il governo del presidente Maduro ha di recente ceduto a Cuba la sua partecipazione nella raffineria di Cienfuegos per saldare i debiti con l’isola, visto che ha dovuto ridurre l’invio di petrolio utilizzato per pagare i servizi dei medici cubani in Venezuela.

Qualche boccata d’ossigeno viene dai rinnovati interessi geostrategici del presidente russo, Vladimir Putin, che ha favorito un accordo con una società petrolifera russa che invia petrolio all’isola.

Ma gli economisti più accreditati sono convinti che l’uscita dalla crisi sarà possibile solo dando impulso alle riforme e liberando le forze produttive private –piccole industrie. Un compito che spetterà appunto al nuovo presidente.