Dopo gli anni della crisi, per Fincantieri, colosso pubblico della cantieristica navale, è arrivata l’ora di parlare di rinnovo contrattuale. La discussione però è ferma e per conoscerne l’epilogo si dovrà ancora aspettare. Quanto, non è dato sapersi.

Cominciata circa 9 mesi fa, la trattativa parte con due piattaforme diverse: quella Fiom, votata da circa il 60% dei lavoratori di cui la quasi totalità dice sì, e quella Fim-Uilm, approvata dai delegati. Proposte simili, che divergono sulla questione appalti.

Fincantieri conta 7.400 occupati diretti e 30 mila esternalizzati, con un rapporto tra dipendenti e lavoratori in appalto di 1 a 4. Motivo per cui la Fiom ne chiede la drastica diminuzione in quanto bacini di illegalità, lavoro nero e sottopagato, in cui spesso non vengono rispettate nemmeno le più elementari norme di sicurezza.

Le possibilità di accordo, tuttavia, si fanno subito complicate.

«L’azienda – spiega Bruno Papignani, responsabile cantieristica Fiom – si presenta al tavolo con l’idea di trasformare i permessi retribuiti in orario di lavoro, in modo da accrescere di 104 ore il monte ore lavorativo senza il corrispondente aumento di stipendio, chiedendo anche di implementare il già abnorme numero di appalti affidandone una parte ad agenzie interinali. Una moderna forma di “caporalato” di Stato, con i lavoratori più ricattabili».

Nella stessa sede si parla anche di esternalizzare il settore di scafo, attività prettamente metalmeccanica.

Dopo alcuni mesi di sostanziale nulla di fatto, Fincantieri disdice l’integrativo mensile, togliendo così ai lavoratori 70 euro al mese di premio di produzione fisso, più quello variabile; in totale circa 3 mila euro annui in meno per ogni operaio. Inoltre propone di togliere ai nuovi entrati le indennità attualmente presenti, creando in questo modo una disparità tra vecchi e nuovi assunti di circa 300 euro mensili.

I sindacati non ci stanno, ma non tutti alla stessa maniera. Con un’unità sindacale mai così lontana.
Fim e Uilm scrivono in un comunicato che «un eventuale accordo separato resta solo negli auspici della Fiom». I metalmeccanici Cgil, al contrario, affermano che Fim e Uilm sarebbero disposti a trattare sulla proposta di Fincantieri, che invece rifiuterebbe di sottoscrivere un accordo senza la Fiom in quanto sigla maggiormente rappresentativa dei lavoratori.

Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, dopo diversi incontri tra sindacati e azienda, la sola Fiom decide di indire 16 ore di sciopero. Cisl e Uil sostengono che «nessuno si è accorto che in Fincantieri la Fiom sta scioperando»; le tute blu Cgil parlano di un’adesione tra l’80% e il 95%.

Nello stabilimento di Palermo, nel frattempo, per assecondare la richiesta di un armatore che non vorrebbe ritardi sulla manutenzione di una sua nave, la dirigenza aziendale avrebbe chiesto ai lavoratori di firmare una dichiarazione di rinuncia allo di sciopero. «Un’iniziativa gravissima – commenta il segretario generale Fiom Maurizio Landini – che vuol dire come in questo Paese, per lavorare, si debba rinunciare a tutto. Anche alla Costituzione. Vogliamo sapere se l’azionista di riferimento di Fincantieri, cioè il governo, condivide le azioni deprecabili della direzione di Palermo».

Al ministro dell’Interno Angelino Alfano i sindacati chiedono un incontro da 5 mesi, senza ottenere risposta. In compenso il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha visitato il capoluogo siciliano ed è stato informato di tutto dalle Rsu Fincantieri. Non si esclude che la Fiom convochi una manifestazione nazionale ad hoc.