Morire in un cantiere navale a 19 anni. Schiacciato da un blocco di cemento di sei quintali sotto gli occhi di tuo padre e tuo fratello maggiore.
L’inarrestabile striscia di sangue sul lavoro – oltre 200 morti dall’inizio dell’anno – ieri ha colpito uno dei cantieri più grandi del paese e una regione che sta pagando un tributo insostenibile alla carenza di sicurezza e di controlli.
Ieri mattina la Fincantieri di Monfalcone (Gorizia) era il solito brulicare di migliaia di lavoratori di ditte d’appalto. Il giovane, Matteo Smoilis, originario di Fiumicello – lo stesso paese di Giulio Regini – lavorava per una piccola ditta che da 40 anni ha appalti diretti nel cantiere. Una ditta a conduzione familiare tanto che con lui lavoravano appunto il padre e il fratello maggiore che ha la qualifica di capo cantiere. Il cantiere è quello che sta varando una nave da crociera Msc. Il blocco che lo ha colpito è un carico in manovra che serve a tenere in alto parti dello scafo e viene abbassato per muovere i pezzi stessi. Appena sentito lo schianto è stato il padre a soccorrere, capite immediatamente le condizioni disperate del figlio li ha praticato a lungo il massaggio cardiaco. L’arrivo dei soccorsi e il trasporto in elicottero all’ospedale Cattinara di Trieste sono stati tempestivi ma poche ore dopo è arrivata la notizia del decesso.
Alla Fincantieri di Monfalcone i morti sono sul lavoro sono stati ben cinque negli ultimi dieci anni. L’ultimo poco più di un anno fa: il 2 marzo 2017 toccò ad un altro operaio degli appalti, un operaio che stava portando avanti lavori edili.
I sindacati hanno immediatamente proclamato uno sciopero e l’azienda ha bloccato la produzione. Per oggi è prevista una assemblea permanente con altre 8 ore di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm. L’Usb ha deciso di allargare lo sciopero a tutto il lavoro privato nel Friuli, l’astensione è prevista a fine turno.
«La situazione è insostenibile – denuncia Livio Menon, segretario provinciale della Fiom – . In Fincantieri lavorano ogni giorno 10mila persone di cui 8.500 sono di appalti esterni. Ogni appalto è basato sistematicamente sull’abbattimento del costo del lavoro e sull’aumento della produttività, due elementi che producono sistematicamente poca sicurezza. Noi con l’ultimo contratto integrativo abbiamo provato a far rientrare molti operai senza diritti nel contratto di somministrazione, ma il problema sicurezza è molto più grande».
Meno di una settimana fa la Fiom di Gorizia aveva chiesto più controlli a Monfalcone. «Il 3 maggio – racconta Menon – ho contattato l’Inl (l’istituto nazionale del lavoro che ha accorpato le funzioni ispettive prima suddivise fra ministero, Inps e Inail, ndr). Mi hanno detto che erano consci che servissero più controlli ma che non potevano garantirli chiedendo a noi di segnalare le situazioni più gravi perché hanno meno risorse e meno personale rispetto alla somma degli ispettori quando le competenze erano divise. Anche la Medicina del lavoro è nella stessa situazione – continua Menon – il responsabile mi ha spiegato che ha 5 persone, solo due nella provincia di Gorizia. La verità è che il Jobs act con questa unificazione ha prodotto risparmi per 600 milioni tagliando controlli, risorse e personale agli ispettori», conclude Menon.
Dare conto delle innumerevoli reazioni contrite e sdegnate di politici nazionali e locali non ha alcun senso.
La giornata di ieri è stata incredibile per il lavoro giovanile nella regione Friuli. Se martedì un operaio di 32 anni, originario di Caltanissetta, è morto per un incidente avvenuto alle Grafiche Tonutti di Fagagna (Udine), ieri uno studente di soli 16 anni impegnato in uno stage in un’azienda di Pavia di Udine è rimasto gravemente ferito in un incidente sul lavoro. Il giovane stava utilizzando una fresa e si è semiamputato una mano.