Finalmente è sesso «libero»
Diritti Sentenza storica della Cassazione sulla rettifica dei dati anagrafici delle persone trans. Non più necessaria la prova dell’intervento chirurgico agli organi genitali. Vittoria della Rete Lenford e delle associazioni lgbt: «Indietro non si torna, ora la legge»
Diritti Sentenza storica della Cassazione sulla rettifica dei dati anagrafici delle persone trans. Non più necessaria la prova dell’intervento chirurgico agli organi genitali. Vittoria della Rete Lenford e delle associazioni lgbt: «Indietro non si torna, ora la legge»
Per la rettifica dei dati anagrafici non è più obbligatorio l’intervento chirurgico agli organi riproduttivi: così ha deciso la prima sezione civile della Corte di Cassazione. Una sentenza storica, che accoglie le tesi sostenute da tempo dagli attivisti del movimento lgbt: una persona transessuale ora ha finalmente diritto al riconoscimento pieno del suo nuovo genere senza dover necessariamente sottoporsi a un’operazione ai caratteri sessuali primari, cioè ai genitali.
Il caso deciso dalla Suprema corte riguarda una persona trans di 45 anni, da oltre 20 anni socialmente riconosciuta come donna, che si era vista rifiutare la modifica dei propri dati anagrafici dal tribunale di Piacenza e poi dalla Corte d’appello di Bologna per non essersi sottoposta all’asportazione del pene. Il «no» si fondava su un’interpretazione restrittiva della legge (la 164 del 1982, poi modificata), che sul punto ha una formulazione ambigua: «Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza». «Necessario» a chi? E quali «caratteri sessuali»? Queste le domande-chiave da cui ha preso le mosse un’interpretazione della norma più attenta ai diritti delle persone.
Come spiega al manifesto la costituzionalista Anna Lorenzetti, una delle massime esperte in materia, «la Cassazione ha finalmente riconosciuto che l’intervento ai caratteri sessuali primari è ‘necessario’ solo se è la persona trans a considerarlo tale, cioè non può essere lo Stato a imporlo». Può bastare, quindi, nel caso di un uomo che transiti al genere femminile, la definizione di caratteri sessuali secondari come il seno: «Esistono persone trans – argomenta Lorenzetti – per le quali l’asportazione dell’organo maschile non è il completamento naturale di un percorso, ma, al contrario, un atto che altererebbe un equilibrio psico-fisico faticosamente e dolorosamente raggiunto. È assurdo che la legge possa imporre un trattamento che invece del benessere delle persone produce il loro malessere».
Sino ad ora l’obbligo dell’operazione era giustificato dalla maggioranza dei giudici sulla base della necessità del riconoscimento certo dei generi, e del rischio di autorizzare l’esistenza di un fantomatico «terzo genere». In uno dei passaggi-chiave della sentenza, la Cassazione ha smontato questi argomenti: «L’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico-fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico». La protagonista di questo caso giudiziario potrà quindi finalmente rettificare i propri dati anagrafici – acquisendo anche ufficialmente il suo nome di donna – senza dover essere costretta a un trattamento sanitario che non voleva.
La decisione dei supremi giudici è una vittoria per tutti quelli che credono all’autodeterminazione degli individui. Un risultato reso possibile dall’impegno della Rete Lenford, l’organizzazione di legali che si battono per il riconoscimento dei diritti delle persone lgbt, che ha seguito l’iter giudiziario insieme all’avvocata e attivista trans Alessandra Gracis.
L’esito positivo della vicenda dovrebbe essere uno stimolo a condurre in porto la riforma della legge sulla rettifica anagrafica, presentata in Senato e arenatasi quasi subito. «Nonostante la storica sentenza della Cassazione, è comunque importante che cambi anche la norma, perché da noi non esiste il precedente giudiziario vincolante».
Insomma, la parola dei supremi magistrati conta molto, ma è sempre possibile (anche se da ieri più complicato) che un giudice reazionario la ignori, continuando a imporre l’operazione ai genitali. Prima dell’eventuale modifica legislativa, arriverà sicuramente un’altra sentenza: quella della Corte costituzionale, davanti alla quale – per altre vie – è finito un caso simile. In astratto, potrebbe clamorosamente smentire la Cassazione, ma chi segue più da vicino il tema è ottimista: da ieri non si torna più indietro.
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