L’articolo 40, comma 11 e 11 bis è abolito. Detta così, sembra una delle tante note burocratiche che invadono le sedi delle associazioni sportive, costrette a districare nel complesso mondo degli obblighi normativi e burocratici. La nota emanata dalla Federazione italiana gioco calcio (Figc), ha un valore storico perché apre le porte a tutti i figli di immigrati extracomunitari, che non potevano calcare i campi di calcio perché non sono cittadini italiani, né possono fare richiesta fino all’età di 18 anni. Una norma discriminatoria, che di fatto escludeva gli extracomunitari di seconda generazione da qualsiasi possibilità di partecipare ai campionati di calcio delle serie minori fino alla maggiore età. Protagonisti della battaglia per l’abolizione della norma sono state una serie di associazioni sportive e palestre popolari che fanno riferimento ai centri sociali di tutta Italia e si ritrovano sotto il cartello di Sport alla Rovescia. Ai promotori di questa battaglia abbiamo chiesto di spiegarci qual è stato il loro percorso di lotta, che ha messo fuori gioco la Figc, e di fatto spinto ad abolire la norma discriminante verso i giovani extracomunitari.

“Il percorso politico delle esperienze dei centri sociali a difesa dei migranti ci ha portati a individuare lo sport come terreno più facile per portare avanti la lotta sui diritti negati agli extracomunitari- dice Max Gallob attivista di Sport alla Rovescia – e a gennaio del 2012 tutte le polisportive di calcio, volley, rugby, cricket, che avevano come comune denominatore l’impegno politico su questo fronte, si sono ritrovate ad Ancona, e uno dei primi elementi emersi è stata la difficoltà di accesso  allo sport da parte degli extracomunitari, in particolare ai campionati di calcio indetti dalla Figc. Decidemmo di studiare i regolamenti delle varie federazioni e di promuovere in tutta Italia campagne di denuncia per la modifica delle norme discriminatorie, accompagnate da appelli ad associazioni e dirigenti di società sportive di base, per il diritto allo sport degli extracomunitari, perché lo sport aiuta a superare le barriere razziali. Chiedevamo perché i bambini giocano a calcio tra loro al di là del colore della pelle e dopo non possono?”. Al convegno di Ancona aderirono 15 polisportive provenienti da Napoli, Bologna, Roma, Parma, Rimini, Trieste, Vicenza, Padova, Taranto, Venezia e Torino. Le polisportive avendo più squadre, impegnate in diverse discipline non si limitarono ai semplici appelli, durante i campionati esponevano striscioni a sostegno del diritto allo sport dei ragazzi extracomunitari e con azioni di volantinaggio denunciavano nello specifico tutte le norme discriminatorie contenute nelle disposizioni delle varie federazioni sportive. Le polisportive aderenti a Sport alla Rovescia, all’interno del loro percorso di lotta, hanno organizzato anche presentazioni di libri, convegni dibattiti e manifestazioni pubbliche sul tema del diritto allo sport per tutti.

A maggio del 2012 le azioni di lotta di Sport alla Rovescia ricevono un largo consenso all’interno di una vasta platea:” Fummo invitati a Roma a una riunione della rete Fare (Football against racism in Europe ndr), che si teneva in una sala adiacente a quella del Consiglio dei ministri, tra i presenti anche Giancarlo Abete, presidente della Figc, che nel suo intervento non mancò di elogiare con belle parole le azioni del mondo del calcio nostrano contro il razzismo. Intervenni subito dopo e smascherai l’ipocrisia di Abete, avevamo studiato lo statuto della Figc, e dissi che le norme che caratterizzavano quello statuto erano le più razziste d’Europa e che sarebbe stato bello se proprio la sua federazione avesse dato un segnale di controtendenza, fosse stata la prima ad invertire la rotta. Da parte della platea vi fu un lungo applauso, la maschera di Abete era caduta, il presidente della Figc venne a cercarci voleva parlare e rabbonirci, gli dicemmo che la nostra denuncia sarebbe proseguita e che lo avremmo giudicato dai fatti”.

Le azioni di Sport alla Rovescia non si limitano alla denuncia nei confronti dei dirigenti della Figc come Giancarlo Abete, che nulla fanno per favorire l’integrazione attraverso lo sport degli extracomunitari, e nell’autunno del 2012 promuovono la campagna “Gioco anch’io” che consente ai giovani extracomunitari di giocare a calcio nei tornei promossi dalle polisportive dei centri sociali. A Napoli organizzano il torneo di calcio 3 contro 3, a Bologna squadre di calcio a 11, a Padova il torneo di calcio a 5 e a Vicenza partecipa al torneo una squadra, la Porcenese, costituita interamente da calciatori extracomunitari di Porcen in provincia di Belluno, dove la Lega ha consensi pari al 98%, ma quei ragazzi parlano tutti i dialetto veneto, tanto è il tempo in cui risiedono in Italia. E se quei calciatori dalla pelle scura possono giocare nei tornei indetti in tutta Italia dalle polisportive aderenti a Sport alla Rovescia, perché mai non potrebbero farlo nei campionati organizzati dalla Federcalcio?

A dicembre del 2012 i ragazzi delle polisportive di Sport alla Rovescia si presentano ai presidenti dei rispettivi comitati della Figc delle regioni in cui operano maggiormente Veneto, Marche, Emilia Romagna e Campania: “Erano presidenti appena eletti ai quali facemmo presente la necessità di abolire una serie di articoli e con nostra grande sorpresa trovammo una certa disponibilità – continua Max Gallob- ma ci chiesero anche se in caso contrario avremmo alzato il tiro. Rispondemmo loro che con tutte le nostre squadre ci saremmo iscritti ai campionati della Figc e avremmo fatto giocare nel corso delle partite extracomunitari che non avevano la cittadinanza italiana, sostituendoli con gli italiani, in questo modo avremmo fatto saltare l’impianto discriminatorio che era alla base delle norme dell’organizzazione dei campionati. Aggiungemmo che ce ne saremmo ampiamente fregati delle sanzioni disciplinari e delle partite perse a tavolino”.

Guidati da Nicola Saccon, un pool di avvocati aderenti all’Asgi, che nulla ha a che fare con i centri sociali, mette a disposizione le proprie competenze, perché vuole ribadire che quelle discriminazioni cui sono soggetti gli extracomunitari non hanno ragione di esistere e lo sport è un diritto di tutti. Gli avvocati studiano nei particolari gli statuti di ogni singola federazione e tutte quelle norme discriminatorie che vietano l’accesso ai ragazzi di colore, la partecipazione ai campionati promossi dalle federazioni del Coni: ”Le maggiori difficoltà erano costituite dalle norme che prevedevano per i ragazzi che giocavano il permesso di soggiorno valido fino a giugno. Chi lo aveva fino a marzo non poteva giocare, gran parte del tempo, circa 5 mesi andava via per il rinnovo, saltavano sempre i primi mesi di campionato – afferma Nicola Saccon anima giuridica di Sport alla Rovescia- la prima domanda che ci siamo posti è stata “perché la Figc chiede il permesso di soggiorno? Non può farlo, è illeggittimo”. Un altro problema riguardava i ragazzi che avevano già giocato all’estero, come nel caso di due fratellini rumeni, che avevano disputato il torneo “pulcini” in Romania, in questo caso solo uno può giocare in una squadra, le norme Figc prevedono che non possano giocare in due. Oltre al calcio anche gli statuti delle altre federazioni sono discriminatori, per esempio quello della federazione di pallavolo o di pallacanestro, che impongono limiti numerici alla presenza di extracomunitari in squadra. Una ragazza che gareggiava nel nuoto sincronizzato non ha potuto passare di categoria per la presenza di altre ragazze extracomunitarie sottoposte al limite numerico. All’estero in Germania, Francia, Inghilterra, i ragazzi extracomunitari di seconda generazione giocano nelle nazionali giovanili, qui non è possibile”. E alla Figc come hanno reagito? “Hanno abolito l’articolo 40, come avevamo chiesto, ma continueremo a tenerli d’occhio, la nostra battaglia non è finita, dopo il calcio si sposterà sugli altri sport e le loro federazioni” conclude Saccon. Sport alla Rovescia questa volta ha saputo rovesciare il Palazzo del calcio.