È tutto falso e vile ciò che trionfa in alto perché la purezza e la fedeltà giacciono nel profondo, piangono le tre figlie del Reno orfane del loro oro mentre gli dei valicano l’elevata soglia del Valhalla, già così prossimo alla sua ventura caduta. La metropoli di Midgar rimanda alla roccaforte dei numi norreni, una città costruita al vertice di una smisurata colonna, spazio urbano per ricchi e potenti, immenso disco di edifici e industrie che condanna alla negazione del sole i poveri e gli afflitti che vivono sotto la sua ombra in quartieri-ghetto. Anche Midgar, città vampiro che per esistere sfrutta gli umiliati, gli offesi e l’energia vitale del pianeta, sarà costretta al collasso e saremo ancora una volta noi, giocatori scissi in un manipolo di eco-terroristi, a cominciare la catena di eventi che porterà alla sua distruzione, sebbene non si rivelerà un catartico «crepuscolo degli dei» ma il preludio di un’altra catastrofe.

Ecco di nuovo o per la prima volta Final Fantasy VII, un rifacimento per PlayStation 4 solo parziale del capolavoro uscito nel 1997 per la prima console di Sony, perché qui vi sono approfonditi, in una grande dilatazione narrativa e ludica, solo gli eventi iniziali del videogame originale, mentre altre puntate sono già in via di sviluppo per completare un affresco immane.

Non si tratta tuttavia di un breve episodio, in attesa di innumerevoli altri capitoli, perché il remake della settima fantasia finale è un’opera vasta e necessita di decine di ore per essere conclusa, una rilettura e variazione dell’epopea del 1997 disegnata con gli ausili delle tecnologie contemporanee, risultando insieme visione spettacolare e narrazione profonda, contenitore di personaggi divenuti icone e materia da cosplay nel corso del tempo che qui trovano una loro nuova, lirica «umanità».

Cominciando a esperire Final Fantasy VII Remake subiamo commossi, almeno noi che già giocammo e amammo il titolo originale, un’educazione sentimentale alla nuova forma assunta da questa epopea rivoluzionaria che ci induce a combattere per la salute del pianeta.

La riscrittura è fedele ma innestata di digressioni ed elementi nuovi e sorprendenti, così che non c’è una violenta sovrapposizione con l’originale, la cui bellezza non è sostituita dal nuovo ma ricordata. Si attua invece una dolce sovrimpressione di ricordi e cominciano déjà-vu che si dimostrano invece quasi sempre ingannevoli. La commistione di emozioni nuove e antiche è alimentata dalle musiche, un nuovo arrangiamento dei temi altissimi, lirici o elettrici, intimistici o epici, metallici o schumaniani composti da Nobuo Uematsu.
C’è chi non ha mai vissuto il Final Fantasy VII originale, ma può essere che dopo avere completato e apprezzato il remake egli sia motivato a recuperare il videogame del 1997 ormai fruibile persino su smartphone in un percorso ludico ed emozionale inverso, scoprendo che i grandi videogame, come tutte le opere d’arte, non cedono alle ferite del tempo.

I protagonisti
Non guadagnano dunque carisma gli indimenticabili protagonisti ma sono sottoposti ad una nuova introspezione, li interpretiamo con una coscienza diversa, risultano nuovi e familiari: Il biondo Cloud con i suoi intimi tormenti, l’infinita tenerezza profetica e dolorosa di Aerith la fanciulla dei fiori, la sensualità sfrenata e la pietas materna e combattiva di Tifa, l’esuberanza e il «black power» di Barret. Compare già il magnifico e terribile antagonista per eccellenza, Sephiroth dai lunghi capelli bianchi, e l’effetto della sua malvagia, apocalittica presenza è devastante. Si dimostrano invece di maggiore spessore personaggi un tempo secondari, come gli altri eco-terroristi dell’Avalanche, soprattutto la provocante ed emancipata Jessie, o gli elementi ai vertici della spietata multinazionale Shinra, esempio di potere perverso e bieca, gelida malvagità fondata sul profitto, la speculazione e il controllo.

Attraversando luoghi cupi e desolati, raramente ameni come la fiorita casa di Aerith o pulsanti di vita e trasgressione come il Mercato Murato, viviamo/giochiamo/assistiamo a segmenti visionari potentissimi: allucinazioni di un ignoto passato mentre sciami di sinistri spiriti mantengono l’immutabilità di un futuro possibile, il gioioso e danzante trionfo policromatico del travestimento da donna di Cloud, la scoperta di terrificanti esperimenti condotti sugli esseri umani, vertiginose ascese e ipercinetiche corse in moto. Midgar risulta «viva» perché i suoi spazi sono abitati da un popolo plausibile, non manichini di una fasulla scenografia, persone numeriche che vivono il loro spazio e manifestano le proprie emozioni.

Si lotta tanto, ma in Final Fantasy VII Remake non ci sono più i combattimenti a turni del classico gioco di ruolo giapponese, perché vi è implementato un «combat-system» più improntato verso l’azione, sebbene non neghi affatto un approccio strategico e ci consenta di godere delle potenzialità offensive differenti di ogni personaggio. Le battaglie sono appaganti e impegnative, lusingando occhio e cervello.

La narrazione principale è inframezzata da elementi ludici e narrativi secondari, novellette interattive fondamentali per salire di livello e potenziarsi, più o meno appassionanti, solo raramente poco ispirare e quasi un riempitivo, anche se comunque utili. Non è sminuito in complessità il sistema magico della «materia», sfere applicabili alle armi e all’equipaggiamento in grado di consentire incanti difensivi e offensivi o consentire l’evocazione di creature potenti e maestose come leviatani, draghi e fanciulle glaciali.

La tecnica
Tetsuya Nomura, Yoshinori Kitase, Katsushige Nojima e gli altri centinaia di artisti e tecnici di Square-Enix hanno sviluppato, in lunghi anni di lavoro, un’opera grandiosa ed emozionante per le nuove generazioni e persino per quelle di prima, trattato educativo ed estetico sulla ribellione e l’opposizione al potere in difesa della libertà e della salute del pianeta. Ma non c’è solo questo, nel discusso finale, perché incompreso nel suo romanticismo davvero «tedesco» alla Schiller e Hölderlin, si intende che qualcosa possa mutare nell’evoluzione della trama dei venturi episodi. Sappiamo già dove andrà a finire la storia con i suoi dolorosi drammi, ma qui si intende che, forse, questa volta, possiamo mutare il destino, lottandoci. Agli appassionati più intransigenti quest’eventualità non è piaciuta, temono che la loro storia preferita sia mutata, deludendo le loro aspettative. Ma si tratta appunto solo di aspettative e gli autori sono riusciti, con un finale ispirato e trasgressivo, a mantenerle alte, a darci una speranza che la tragedia non si consumi fino al sua apice più crudele, a illuderci che non siamo marionette ma burattinai. Forse solo per spezzarci ancora una volta il cuore con quel fatale affondo di un’iperbolica Katana e dimostrarci di nuovo che l’eroismo non scaturisce dalla sconfitta del fato, ma dalla lotta contro di questo e persino dalla sconfitta.

Federico Ercole

L’originale (di Matteo Lupetti)
Quando Final Fantasy 7 uscì, nel 1997, i videogiochi di ruolo non erano così popolari su console fuori dal Giappone. Final Fantasy 7 fu il primo episodio della serie ad arrivare in Europa, e i pochi capitoli usciti in USA avevano avuto vendite solo modeste. In Giappone, il principale esponente del genere è Dragon Quest di Enix, rivale di Square sino alla fusione delle due società nell’attuale Square Enix. Ma anche Dragon Quest ebbe inizialmente scarso successo negli Usa. In Occidente il «vero» videogioco di ruolo stava altrove, su PC dove i videogiochi di ruolo giapponesi (JRPG) arrivavano raramente in traduzione, ed era ancora fortemente legato alle meccaniche dei giochi di ruolo da tavolo Dungeons & Dragons (il primo Baldur’s Gate sarebbe uscito nel 1998). Final Fantasy 7 prendeva le distanze da tutto questo, sin dal suo mondo di gioco non medievaleggiante ma ispirato al cyberpunk.

Le ambientazioni futuristiche non erano estranee al genere: uno dei primi JRPG, Psychic City di Hot-B, è cyberpunk, Square stessa aveva debuttato nel genere con un’opera fantascientifica, Genesis: Beyond The Revelation, il gioco di ruolo cartaceo Cyberpunk (da cui CD Projekt Red sta tirando fuori Cyberpunk 2077) esiste dal 1988 e il videogioco di ruolo post-apocalittico Fallout usciva proprio nel 1997.

Ma il cyberpunk di Final Fantasy 7 era comunque qualcosa di piuttosto nuovo, riconoscibile dal pubblico occidentale ma profondamente radicato in un immaginario giapponese che va da Akira di Katsuhiro Otomo a Ghost in the Shell di Mamoru Oshii attraverso Tetsuo di Shinya Tsukamoto. Final Fantasy 7 mescola questi elementi fantascientifici ad armi medievali e magia, una miscela che, più che «cyberpunk», sarebbe corretto chiamare «steampunk ma con l’elettricità al posto del vapore» e che avrebbe definito da allora la serie. Poi, Final Fantasy 7 era estremamente approcciabile quando confrontato con altri esponenti del suo genere. Se le meccaniche dei videogiochi di ruolo giapponesi sono già una semplificazione dei ricchi sistemi che era possibile trovare altrove, Final Fantasy 7 riduce ulteriormente questa complessità. Infine, c’era la spettacolarità. Con un budget che superava gli 80 milioni di dollari, Final Fantasy 7 punta su una narrazione e una regia ispirate al cinema: telecamere dinamiche in battaglie tridimensionali, parti di gioco che si combinano con sequenze filmate, lunghe evocazioni utilizzabili in combattimento.

La sua prima parte, quella riproposta (allungata e spesso annacquata) in Final Fantasy 7 Remake, nella versione originale è rapida, lineare e ricca di eventi che si susseguono senza sosta, un proiettile sparato tra esplosioni e rapimenti. L’introduzione di un film d’azione. Metal Gear Solid di Hideo Kojima sarebbe uscito solo nel 1998: al lancio, Final Fantasy 7 era uno dei videogiochi più cinematografici mai realizzati e mai arrivati su console. Così, anche se era ancora simile ai suoi predecessori, divenne l’episodio più venduto della serie sino ad allora: con 10 milioni di copie al mondo tra PlayStation e PC (più una quantità incalcolabile di copie piratate), contribuì a popolarizzare i JRPG in Occidente sia su console sia su computer e aprì la strada a una lunga serie di esperienze videoludiche meccanicamente povere e narrativamente puerili ma ad altissimo budget e di stampo cinematografico. Final Fantasy 7 Remake non può e non vuole sostituire tutto questo. Senza fare anticipazioni, Remake invece di sovrapporsi all’opera originale si mette al suo fianco, diventando più un «rebuild» che un «remake» (come la serie di film animati Rebuild of Evangelion di Hideaki Anno), e dialogando esplicitamente con il videogioco originale che ne diventa una sua parte. Paradossalmente, Remake rischia di essere a volte persino incomprensibile per chi non ha giocato Final Fantasy 7.