Voci sostengono che Michel Foucault di fronte a Raymond Aron, uno dei grandi maestri della sociologia francese contemporanea, fosse «come un ragazzino». La testimonianza è di uno dei cinquanta «giovani lupi» (la definizione è di Aron) che parteciparono, alla Sorbona, il 17 marzo del 1967, al seminario organizzato dal sociologo per discutere con Foucault alcune tesi de Le parole e le cose, in particolare quelle relative alle «scienze umane come sapere» (ancora Aron).

L’incontro andò molto bene al punto che qualche mese dopo, con precisione l’8 maggio, i due si ritrovarono nuovamente, questa volta non in un’aula universitaria, ma nello spazio pubblico dell’ascolto radiofonico: alle 18:15 Radio France Culture mandò in onda, all’interno del programma «Les idées et l’histoire», una conversazione tra i due intellettuali sull’ultimo libro di Aron, Le tappe del pensiero sociologico.

La trascrizione di quest’incontro col titolo Dialogue, è stata pubblicata dall’editore francese Lignes solo nel 2007 e, nel 2012, da quello italiano Eupolis: R. Aron – M. Foucault, Dialogo (a cura di A. Cucciniello, pp. 62, euro 8). Se si pensa all’estrema attenzione che le case editrici riservano a un’opera come quella di Foucault – di cui praticamente si pubblica e traduce ogni cosa, e con ragione – non si può che essere sorpresi dal ritardo con cui questo prezioso materiale viene messo a disposizione del pubblico, ritardo che si comprende e giustifica solo nell’ottica di provinciale subalternità con cui la filosofia – soprattutto francese – continua a guardare alle scienze sociali.

In breve, ci sono voluti quasi quarant’anni per accettare che un filosofo del calibro di Foucault abbia «trafficato» con Aron, sicuramente grande sociologo di orientamento filosofico, ma pur sempre sociologo.

Il set del conflitto

La pubblicazione di questo libretto ci consente, però, un altro tipo di operazione culturale, ossia, di sfruttare la pagina scritta come trampolino di lancio per accedere direttamente all’ascolto originale della trasmissione, i cui circa ventidue minuti di durata possono essere acquistati a soli 1,45 euro dal sito dell’Ina (l’Istituto nazionale per l’audiovisivo francese). Il passaggio dallo scritto all’orale è fondamentale perché è solo dall’ascolto delle voci e dall’analisi dell’interazione verbale tra Aron e Foucault che diventa di nuovo possibile sentire il «rumore sordo della battaglia» che quell’8 maggio del 1967 si è combattuta nell’etere radiofonico francese, un frastuono e una lotta che la scrittura, attraverso la sua funzione di ordine e disciplinamento alfabetico, contribuisce a sedare, a normalizzare, sin dall’inizio, sin dal titolo: si è chiamato dialogo quello che in realtà è un conflitto.

È meraviglioso il teatro delle buone maniere acustiche costruito ad arte dai protagonisti: dall’adozione di timbri vocalici differenti con cui relazionarsi all’altro (caldo e accogliente quello di Aron, metallico e contratto quello di Foucault), alla flessione dell’intonazione quando si toccano corde emotive personali (quando Aron ricorda con nostalgia le riflessioni sul destino umane fatte in gioventù, quando Foucault ammette la vanità che lo ha guidato nel redigere Le parole e le cose) fino alle risate garbate in studio con cui confermare la reciproca complicità.

Tutta questa cerimonia verbale, però, non ci deve fare dimenticare che l’agire di questi attori sociali è motivato dal desiderio di imporre all’altro la propria classificazione del mondo. In questo caso la posta in gioco del conflitto è la definizione da dare alla sociologia, una definizione che passa attraverso la possibilità o meno di classificare un autore classico come Montesquieu tra i sociologi, questa la scommessa interpretativa de Le tappe del pensiero sociologico.

Si capisce che non c’è nulla di innocente in tutto ciò: definire la sociologia significa elaborare non solo un’immagine della società, ma anche e soprattutto, i paradigmi interpretativi e metodologici con cui analizzarla.

Se questo è ciò che è in ballo, non bisogna meravigliarsi dell’inatteso cambiamento di scena, un vero e proprio colpo di stato, che Aron impone alla trasmissione sin dalle prime battute: da intervistato e protagonista che doveva essere (in fondo, si presentava il suo libro con un Foucault intervistatore d’eccezione, astro nascente della filosofia francese, un best-seller alle spalle come Le parole e le cose, scandalo per la cultura francese dell’epoca) si trasforma immediatamente in intervistatore e co-protagonista.

Un Montesquieu da imporre

Questo cambio di ruoli si capisce solo nell’ottica del conflitto: Aron non è lì nello studio radiofonico per farsi elogiare narcisisticamente il suo ultimo libro, ma per imporre a Foucault la sua classificazione di Montesquieu. Perché proprio questo autore e perché proprio a Foucault?

La strategia di conquista retorica e ideologica messa a punto da Aron è molto complessa e si colloca su tre piani: sociologico, politico e filosofico. Per la sociologia e per il pensiero politico francese Montesquieu significa due cose: Durkheim e Althusser. Per la filosofia Foucault vuol dire Sartre. Classificare l’autore de Lo spirito delle leggi tra i sociologi significa per Aron rompere con la tradizione durkheimiana per la quale Montesquieu rimaneva un filosofo politico: inaugurando il suo corso di scienza sociale all’Università di Bordeaux all’inizio dell’anno accademico 1887-1888, il padre della sociologia francese moderna aveva stabilito che «Montesquieu, pur dichiarando fermamente che la società, come il resto del mondo, è soggetta a leggi necessarie derivate dalla natura delle cose, perse di vista le conseguenze della formulazione iniziale quasi subito dopo averla posta… In queste condizioni dunque non vi può essere posto per una scienza positiva delle società, ma solo per un’arte politica».

In più, classificare Montesquieu tra i sociologi significa per Aron sottrarlo alla lettura politica che ne aveva fatto Althusser, quindi recidere ogni rapporto che, dal punto di vista storico-dialettico, poteva avere con Marx. Nella monografia del 1959, Montesquieu. La politica e la storia, Althusser scrive: «Montesquieu, prima di Marx, è senza dubbio il primo ad aver iniziato a pensare la storia senza attribuirle un fine, cioè senza proiettare nel tempo della storia la coscienza degli uomini e le loro speranze».

Alla ricerca del sociale

Il Montesquieu sociologo di Aron che concettualizza il sociale come un insieme di relazioni interpersonali, che lo differenzia da altre specie di saperi e lo rende capace di inglobare le varie forme dell’attività umana, rompendo l’asse Durkheim-Althusser, in realtà rompe con la concezione di una società che, come vuole l’impostazione generale di questi autori, si pensa governata da strutture.

Sostenere tutto ciò davanti a Foucault per Aron vuol dire, e con questo arriviamo alla filosofia, differenziarsi dai duri giudizi che Sartre – l’amico/nemico di sempre con cui aveva fondato Les temps modernes e contro il cui marxismo ha fondato le celebri e altrettanto tristi espressioni «oppio degli intellettuali», marxismo immaginario» – aveva espresso su L’Arc (n. 30 del 1966) a proposito de Le parole e le cose: «È il marxismo a essere preso di mira. Si tratta di costituire una nuova ideologia, l’ultima barriera che la borghesia può ancora erigere contro Marx».

Imporre a Foucault la classificazione di Montesquieu come sociologo vuol dire, in sintesi, conquistarsi un alleato contro tutte quelle teorie sociali che pensano sia possibile spiegare il sociale nella sua totalità. Ora, avendo presente gli orientamenti epistemologici soprattutto di Durkheim e Althusser, dato che quello di Sartre rimane essenzialmente filosofico e non logico-conoscitivo, l’insieme di queste teorie si può facilmente ridurre a unità: lo strutturalismo.

A fronte di questa complessa strategia retorica di conquista, cosa fa quel giovane filosofo che innanzi ad un vecchio maestro del pensiero sociale francese sembra avere, come ricordano le testimonianze, la deferenza di «un ragazzino»?

Attacco e difesa

In primo luogo si difende. Sostiene che non è possibile pensare Montesquieu come sociologo, almeno non nei termini con cui è stata pensata la sociologia nel XIX secolo, contraddistinta da interrogativi del tipo «cos’è l’uomo», «cosa l’essenza umana», «quale il rapporto individuo-società». Problemi molto diversi da quelli affrontati ne Lo spirito delle leggi.

In secondo luogo contrattacca. Sebbene nelle ultime battute della trasmissione dica che non sia più la struttura, ma la storia a porre i problemi del presente, non bisogna assolutamente trascurare il fatto che Foucault, con un gesto ardito, mai esperito in precedenza, cerca di controclassificare Aron tra le fila degli strutturalisti, ossia di quei pensatori che come Lévi-Strauss hanno liberato il sociale dalle sue configurazioni antropologiche, ne hanno dissolto la funzione del soggetto. Aron risponde no, in lui l’interrogazione antropologica sopravvive, non foss’altro che nella forma della ricerca di differenti raffigurazioni del destino umano.

Qual è l’esito del conflitto? La risposta positiva non va cercata tanto dal lato della difesa e della controffensiva di Foucault, quanto in ciò di cui la trasmissione è simbolo. In primo luogo, il fatto che lo scontro avvenga in un mezzo di comunicazione di massa, allarga le configurazioni stesse del conflitto sociale: lavoro, migrazioni, sessualità, ambiente… media. In secondo luogo, che tale conflitto abbia come sua posta in gioco una valuta cognitiva, significa che la conoscenza viene individuata come fonte di ricchezza di cui impadronirsi.

Infine, che le forze coinvolte nel combattimento rimandano sempre a soggettività che le trascendono, le quali, a loro volta, trovano voci in cui incarnarsi. Se la sociologia di Aron parlava in nome della borghesia liberale francese degli anni ’60 del ‘900, lo strutturalismo di Foucault lo avrebbe fatto di lì a poco, all’Università di Vincennes, in nome dei maoisti (strutturalisti althusseriani) che chiamerà lì ad insegnare. Nell’agosto del 1967, tre mesi dopo la trasmissione radiofonica, uscirà nelle sale cinematografiche La cinese di Godard. Le rappresentazioni collettive audiovisive come causa e prodotto delle trasformazioni sociali.