Per Werner Herzog era «la coscienza morale del cinema». Amos Vogel, pur non avendo mai diretto un film, è stato «cineasta» o, meglio, «cine-amatore» nel senso della sua appassionata opera di divulgazione delle immagini in movimento sempre attuata con un incandescente approccio sovversivo nel portare alla conoscenza di spettatori curiosi testi e autori di un cinema d’avanguardia culturalmente e geograficamente stratificato. Nel 2021 avrebbe compiuto 100 anni. Nulla di meglio che festeggiare questo anniversario con un omaggio alla sua pratica e alla sua visione del cinema. Lo farà Filmmaker, il festival internazionale diretto da Luca Mosso, giunto alla quarantunesima edizione (in programma a Milano dal 12 al 21 novembre) e che si fonda sull’esplorazione delle tante strade che si diramano all’interno del «genere documentario».

A VOGEL (nato a Vienna nel 1921 e morto a New York nel 2012), la cui missione di agitatore culturale sfociò nella fondazione di Cinema 16, «il più grande cineclub d’America» attivo dal 1947 al 1963 a New York, e nella pubblicazione di un testo imprescindibile, Il cinema come arte sovversiva (1974, da tempo fuori catalogo), Filmmaker dedicherà la sezione “Fuori Formato”, riservata al cinema sperimentale, con tre programmi tematici «che cercano di rendere almeno in parte questa varietà eclettica ed esplosiva», composti in prevalenza di titoli che furono proiettati da Cinema 16 (tra questi, lavori di Stan Brakhage, Maya Deren, Kenneth Anger, Georges Franju, Gianfranco Mingozzi, Carmelo Bene).
“Fuori Formato” è una delle sette sezioni di Filmmaker, che si aprirà con Atlantide di Yuri Ancarani. Il regista torna al festival con un romanzo di formazione ambientato nella laguna di Venezia, «un film di aria e di vento, di avventure rumorose e di sfide mortali, che fa venire voglia di sperimentare la vita e il cinema». Un filo rosso che attraversa le varie sezioni nel segno della ricerca di nuovi sguardi e prospettive in grado di cogliere le molteplici sfumature del presente. I film del concorso provengono da Europa, Asia, Africa, Stati uniti. Si va dal «film di famiglia» How Do You Measure a Year? di Jay Rosenblatt, che intervista la figlia per 18 compleanni consecutivi, all’omaggio a Kurt Kren realizzato dall’austriaco Peter Tscherkassky, geniale manipolatore d’immagini, con Train Again; da storie di gang del Niger (Zinder di Aicha Macky) e di giovani etiopi (Faya Dayi di Jessica Beshir) alle contaminazioni e agli esperimenti compiuti dagli italiani Demetrio Giacomelli, autore sostenuto da Filmmaker negli ultimi anni, con The Kennel, Diego Marcon, che con The Parent’s Room intreccia video arte, musical e horror, e Giovanni Maderna, il cui The Walk interpreta liberamente La passeggiata di Robert Walser nel tempo del piano sequenza per le strade e i luoghi di Roma.

L’ALTRO SPAZIO competitivo, “Prospettive”, si identifica come un laboratorio di idee abitato da cineasti e film sui quali scommettere, dalla giovanissima Alice Re (Nel paese delle meraviglie) a un’autrice come Martina Melilli, dalla filmografia già solida e qui presente con J’ai faim prodotto da Les Ateliers Varan. Uno sguardo sul presente, posato da alcuni registi su richiesta del festival che ha commissionato loro «un frammento, una visione, un pensiero», è invece al centro della sezione “Europa 2021 – Dancing in the Dark”, titolo ispirato tanto a Europa 51 di Rossellini quanto a quello di un capitolo della serie Frammenti elettrici di Gianikian e Ricci Lucchi.

TRA I LAVORI, tutti inediti tranne Prologo di Béla Tarr del 2005, ci sono schegge firmate da Lech Kowalski, Tonino De Bernardi, Fabrizio Ferraro, Franco Maresco. Film di chiusura sarà L’età dell’innocenza di Enrico Maisto. Dialogo tra il figlio regista e la madre magistrata della Corte d’Assise di Milano appena andata in pensione. La videocamera sempre accesa, anche quando la donna non vorrebbe. Il grande amore che li unisce, le complicità e le cose non dette. Ovvero, un ulteriore tassello che indaga rapporti di vita e di cinema.