A prescindere da come – e quando – si scioglierà l’intreccio, a Londra la saga Brexit sta facendosi sentire. L’effetto è ancora soprattutto psicologico. Se la capitale si è espressa con un massiccio 60% contro l’uscita del Paese dall’Ue prescritta dall’esito referendario del giugno 2016, è anche perché conta una vasta comunità internazionale. Forte, a sua volta, di un congruo contributo di italianità: circa 600mila connazionali, socialmente polarizzati fra «expat» per scelta e «migranti economici» per forza, uniti al centro da un’abbondante zona grigia.

L’ONDA D’URTO di questa drastica mutazione si propaga nell’inalterata frenesia della città, destando interrogativi e iniziative. Come quella che i narratori Marco Mancassola, Claudia Durastanti, Paolo Nelli, Marco Magini e l’italianista Stefano Jossa, coadiuvati dalla mobilitazione di altri connazionali esponenti, in diverso ordine e grado, del cognitariato italo londinese lanceranno 21 e 22 ottobre al teatro Coronet di Notting Hill: il primo Festival italiano di letteratura a Londra.

UN APPUNTAMENTO stimolato «dalla foltissima presenza italiana che fa di Londra una città anche italiana», nelle parole dello stesso Mancassola. Un festival che segna l’incontro fra un progetto dal basso e il lavoro di un’istituzione, l’Istituto Italiano di Cultura in veste di co-organizzatore. «Abbiamo lavorato in piena libertà, concentrandoci sui temi che ci interessavano: Londra, Brexit, politica italiana, genere, musica… E soprattutto mescolando ospiti italiani e britannici-internazionali». Italiano, perché organizzato da italiani e in vari dei suoi appuntamenti si occupa di temi anche italiani, ma ambisce a essere diverso dagli appuntamenti canonici del suo genere. «Ci interessavano gli accostamenti inediti. Mettere in dialogo un curatore italiano della Tate Modern, Andrea Lissoni, con uno scrittore londinese per eccellenza come Iain Sinclair; un’autrice naturalizzata italiana come Helena Janeczek con una altrettanto internazionale come Lauren Elkin; una voce letteraria italiana e una inglese che discutono del rapporto fra romanzo e serie tv (Giancarlo De Cataldo e Hanif Kureishi); o il reading di due giovani autrici emergenti che esprimono la voce dell’ultima generazione italiana emigrata all’estero, come Serena Braida e Giorgia Bernardini».

IN UN CLIMA POLITICO convulso, con Theresa May ostaggio della destra tory euroscettica, Fill s’interrogherà anche sul destino dei «cittadini di nessuna parte», epiteto che la premier ha affibbiato «populisticamente» alla liberal cosmopolitan elite. «Volevamo creare un luogo di confronto in cui voci intellettuali italiane e anglosassoni si potessero confrontare a fondo senza i tipici complessi di inferiorità italiani – continua Mancassola – Ma l’urgenza è stata quella di rispondere al nuovo bisogno di comunità culturale, di incontro e di riflessione, creato dalla Brexit. In una città dispersa e dispersiva come Londra, non passa la fame di ri-aggregazione, di riunirsi intorno a voci che valga la pena ascoltare. A pochi giorni dal festival veleggiamo verso il sold out, con un totale previsto di 1500 presenze».
Sulla scia dei media italiani, che hanno spesso reagito al referendum come di fronte a una delusione sentimentale, i segnali d’instabilità che le migliaia di connazionali avvertono non potevano restare a lungo inespressi.

«Nei sondaggi, oltre il 50% degli europei a Londra, giovani o meno, con lavori intellettuali e creativi o meno, dicono che non sanno se vogliono restare. La Brexit ha messo in crisi il concetto di comunità. Lo ha potuto fare perché quel concetto era già in crisi: Londra prima della Brexit era un felice conglomerato di comunità e di lingue, o una galleria di speculazioni immobiliari e sfruttamenti salariali alimentata dai capitali globali? Forse entrambe le cose. Ma la mia risposta è che Londra post-Brexit sarà un luogo immensamente peggiore, pieno di disuguaglianze».