È stato prelevato da un gruppo di sette uomini armati nel suo ristorante e portato via – dicono i testimoni – su una barca a motore che si è rapidamente allontanata nelle acque dell’Oceano. È stato rapito così l’italiano ex sacerdote, trent’anni vissuti nelle Filippine, proprietario del «Caffè della speranza», sulla punta estrema Nord dell’isola di Mindanao. A Dipolog, capitale della provincia di Zamboanga del Norte, Rolando del Torchio, 57 anni, lo conoscono bene.

Adesso la polizia lo cerca in quel groviglio che interseca il banditismo a una resistenza politica animata, specie a Mindanao, da gruppi separatisti che si sono scissi in diverse formazioni e che, in molti casi, hanno fornito un riparo ideologico a chi pratica il sequestro solo per fare cassa. Rivendicazioni per ora non ne sono arrivate ma le notizie dalle Filippine e dall’Italia disegnano un percorso in salita per gli investigatori: gruppi e bande sono numerosi e la povertà endemica non aiuta questa parte del vasto mondo insulare filippino che è sempre stata in subbuglio e dove la lotta armata della guerriglia ha preso spesso i contorni della guerra, alternando il conflitto a tentativi, non sempre riusciti, di ricucire con le popolazioni musulmane nel Paese più cattolico dell’Asia e dove il potere centrale sta in mano a questi ultimi.

La Farnesina, che conferma il rapimento (non certo il primo e non il primo che coinvolge un italiano), resta prudente: Del Torchio era del resto già scampato a un attentato una quindicina di anni fa, quando alcuni uomini gli avevano sparato mentre si trovava insieme a un vescovo locale. Rolando sbarca nelle Filippine con la tonaca del sacerdote missionario, nel 1988. Ce ne sono tanti qui e tanti svolgono una funzione importante, sia di assistenza tipicamente missionaria, sia di mediazione in una terra macchiata dal sangue di un conflitto storico.

Un periodo non facile in cui molte frange della guerriglia si radicalizzano e producono, accanto ai gruppi storici come il Mnlf o il Milf (i due “fronti mori” del Sud), anche bande cone Abu Sayyaf – il brando divino – che prenderà ispirazione persino da Al Qaeda. Ma la sua esperienza da missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), dura poco e nel 1996 Del Torchio getta la tonaca alle ortiche. Se ne va, si dice ora, perché molto colpito dal fenomeno della pedofilia che, in quegli anni, è ancora tenuto sotto il tappeto. Vero o no, sceglie di tornare alla vita laica e sceglie anche di restare a Mindanao dove lavora nel Sud del Paese con una Ong che si dà da fare con i contadini locali. Poi decide di aprire il suo «Ur Choice Cafè» a Dipolog, nel Nord. Adesso il rapimento.

Con tutte le incognite del caso ma anche una certezza: in questa fetta di mondo i rapimenti sono pane quotidiano e dunque l’esperienza è lunga. Ce l’hanno i servizi e la polizia locale, ce l’ha l’Italia e ce l’ha soprattutto la Chiesa il cui ruolo, a Mindanao, non si limita a dire messa. È questa la vera speranza che lega Rolando del Torchio alla possibilità che venga presto liberato.