Sul Lido un caso Netflix non c’è. Ci sono i film, quelli che il festival di Cannes non ha preso nello scontro con la piattaforma – legato ai tempi di distribuzione in sala – come il magnifico Roma di Alfonso Cuaron, già posizionato tra i possibili Leoni d’oro, o The Other Side of the Wind, uno dei maledettissimi capolavori wellesiani rimasto fino a ieri invisibile (e incompiuto).

E, ieri, il nuovo (e molto atteso) film dei fratelli Coen, Joel e Ethan, The Ballad of Buster Scruggs. Questo non vuol dire che il problema dei rapporti tra la sala e le nuove la distribuzione su piattaforma dei colossi streaming non esista – la messa in onda per questi film è prevista rispettivamente il 14 dicembre (Cuaron), il 2 novembre (Welles) e il 16 novembre (i Coen) in contemporanea, almeno per alcuni paesi con la loro uscita nei circuiti cinematografici – al contrario fa parte della realtà contemporanea – come gli e-book e la crisi dei giornali di cui discutono i personaggi nel nuovo film in gara di Olivier Assayas Doubles vies – perciò richiede un confronto e una riflessione non semplicistici quale la posizione (legata alle norme che regolano le finestre di intervallo tra sala e streaming oltralpe) assunta da Cannes, anche perché la madeleine proustiana in bianco e nero di Cuaron con una sconosciuta – e splendida – attrice india, Yalitza Aparicio, difficilmente sarebbero state finanziate dagli studios produttori di Harry Potter. Come dicono i Coen, «Queste sono società che producono i film non mainstream e più modi ci sono per far sopravvivere questa arte e meglio è».

È anche vero che la cinefilia giovane intrisa di nostalgia per le ere non vissute consuma on line custodendo library di rarità, i luoghi per questo non ci sono più, meno che mai in Italia – già tanti anni fa Adriano Aprà, uno dei nostri occhi di cinema più futuribili diceva che sarebbe stato bello fare dei festival mostrando i film nelle stanze d’albergo, ognuno li avrebbe visti lì da soli o in compagnia poco importa. Però c’è pure la «politica» dell’evento, il red carpet, e il piacere di fare le file chiacchierando di una visione condivisa. Le sfumature sono molte le possibilità pure.

The Ballad of Buster Scruggs dunque, ironico Spoon River nel mito della frontiera e nel west di fondali, canyon, indiani e carovane dei set western, dal classico John Ford al western spaghetti, da Sergio Leone – i cui film come hanno raccontato i Coen sono stati i primi che hanno visto al cinema: «li abbiamo adorati» – a Bud Spencer e Terence Hill, tutto narrato dalle loro voci. Figure leggendarie e fantasie. Colt, duelli, partite a carte, saloon, sogni, imbrogli. Freaks sbattuti su quattro tavole di un palcoscenico improvvisato per guadagnare qualche dollaro, la caccia all’oro, la wilderness perduta. E quel destino che nelle ballate è sempre «cinico e baro» e che si pianta come una pallottola in mezzo agli occhi.

Cowboy canterino e tiratore imbattibile il Buster Scruggs del titolo col suo vestito bianco da cantante di varietà o il personaggio di un musical cavalca tra i villaggi sconosciuti lasciando dietro di sé i cadaveri di chi ha osato sfidarlo. Lo chiamano «l’usignolo di San Saba» per la sua voce, ammazza e canta, è quasi leggendario solo che c’è sempre qualcuno più bravo prima o poi, non si può mica sempre arrivare primi …

Sei episodi che a differenza di quanto si è detto non erano stati pensati come una miniserie – «Il film che avete visto è esattamente quello che volevamo fare, non esiste una versione alternativa» hanno puntualizzato i registi nella conferenza stampa – in cui si declinano diverse sfumature di una commedia fino al tocco gotico sempre senza lasciare ai personaggi alcuno scampo. Non sfuggono a ciò che li aspetta, inatteso e feroce appena tirano un sospiro di sollievo, quel destino li acciuffa implacabile con una corda al collo o un colpo di pistola fuori posto.

Un rapinatore maldestro (James Franco), una ragazza in viaggio con la carovana (fordiana) – è Zoe Kazan, stupenda – un cercatore d’oro nella Valle dell’Eden che somiglia a una scena in Virtual Reality, una carrozza misteriosa in corsa verso una destinazione ignota, reinventano l’epopea nell’universo poetico molto nero dei due fratelli, che si divertono a unire riferimenti e citazioni con dosaggio perfetto.

Risata, sorpresa, beffa: il west (e il western) dei Coen è attraversato dalla malinconia di quando tutte le storie sono già state raccontate (c’è solo un pugno di storie…) si può soltanto scompigliarne il corso, divertirsi a spostare i frammenti per tradire l’ «happy end». Ci voleva la loro intelligenza – e quel gusto di decostruire i generi – per affrontare la sfida. Nel tempo straniato del loro racconto quel paesaggio così familiare diviene altro, quasi lo vedessimo per la prima volta come quando si leggono le fiabe nella versione non addomesticata, con la dolcezza cupa delle ballate perdute