Figli, come ha detto il produttore Lorenzo Mieli in conferenza stampa (dal 23 gennaio nelle sale), è il terzo figlio di Mattia Torre, geniale autore prematuramente scomparso lo scorso anno. Un’operazione produttiva complessa e di difficile realizzazione: una sceneggiatura perfetta diretta da un regista alla sua opera seconda (Giuseppe Bonito) designato dallo sceneggiatore che avrebbe dovuto realizzarla come opera prima (Torre ha co-diretto Boris il film – 2011- e Ogni maledetto Natale, 2014 – con Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico). Non un testamento, non un’eredità, propriamente un terzo figlio: una rogna, una gatta da pelare, un’opera che racconta la vita quotidiana di una coppia alle prese col secondo figlio che spariglia le carte della famiglia. Nicola (Valerio Mastandrea, già alter ego di Torre in La linea verticale, serie tv 2018) e Sara (Paola Cortellesi) si amano, hanno una graziosa figlioletta Anna, una casa confortevole, un lavoro ciascuno: eppure davanti alla portata di un nuovo arrivo tentennano. Un film che racconta l’Italia e la crisi della generazione dei quarantenni che hanno una sola certezza: non volere ricadere negli errori dei propri genitori.

UNA SOVRAPPOSIZIONE di piani narrativi, una voce fuori campo femminile descrive le tipologie di genitori, la rappresentazione di un universo bianco in cui si ritrovano i protagonisti sperduti davanti a decisioni cruciali, il piano inconscio rappresentato da personaggi che fanno domande difficili nei momenti sbagliati, i sostegni che non ci sono, i nonni indipendenti che vogliono vivere la propria vita e non aiutare i figli divenuti genitori a loro volta, la dimensione surreale in cui è possibile (senza farsi male) buttarsi dalla finestra ogni volta che non si sa cosa dire, cosa fare.

Figli è multistrato come una millefoglie: si ride in superficie per le battute più facili (il prete castigamatti persecutorio – interpretato da Fabio Traversa, storico attore del primo Moretti e l’indimenticabile Fabris in Compagni di scuola di Verdone – che alle spalle di Nicola lo appella sempre nello stesso modo: «sei una merda»), si gode nelle sparate contro la generazione precedente che si è mangiata il futuro, ci si sganascia dei tormentoni («gli faccio l’uovo alla cocca»). Attraverso una scansione in capitoli intitolati ai momenti topici di una famiglia – il sonno, la pediatra guru, i suoceri, le domeniche, Josephina (la babysitter perfetta, solo immaginata), la crisi, le piccole cose – lo spettatore si identifica in ambedue i ruoli della coppia, padre e madre: nei loro diverbi sulla divisione delle responsabilità, il tabellone coi post-it attaccati, le chat di classe, l’insonnia, il bisogno di realizzazione femminile e la convinzione maschile di essere un supereroe ad arrivare fino a sera da solo col neonato. Una scrittura irriverente e sapiente quella di Torre, grande narratore di storie minime che diventano massime, con una lievità e una grazia rare, una capacità di penetrare le fessure invisibili in cui si annida il dubbio, un tocco sagace e ironico di fronte alle eterne debolezze dell’uomo. Implacabile, sfrontata, ardita, impertinente voce autoriale unica che illumina d’immenso la ovvietà della routine domestica rendendola a suo tempo giocosa e potente, universale ma di nicchia, palpitante e viva sotto gli occhi ingordi del pubblico.

IL REGISTA Bonito ha rispettato in maniera onorevole le indicazioni della sceneggiatura, di suo già carica delle linee formali del racconto, ritenendo non necessario surrogare nulla. Gli aspetti autobiografici (il padre di molti figli, l’attore Paolo Calabresi, in effetti ha quattro figli; Francesca Rocca, moglie di Torre, interpreta in un cameo l’ostetrica, suo reale mestiere) diventano eventi validi per tutti. Musiche allegre, sempre a tono, misurate a puntino (Giuliano Taviani, Carmelo Travia) scandiscono le scene in un montaggio (a firma di Giogiò Franchini) serrato e accattivante. Geniale la trovata evidenziata da un cartello: per convenzione al posto del pianto del bambino la sonata di Beethoven La patetique. Una sceneggiatura che non sfigurerebbe a diventare un volume in libreria.