Dopo un giorno di detenzione in una struttura presso Zurigo senza poter comunicare tra di loro, gli alti funzionari della Fifa finiti nell’occhio del ciclone che si è scatenato sui vertici del governo internazionale del calcio si sono tutti opposti all’iter veloce di estradizione verso gli Stati uniti. La “rendition” si complica, perché se i prestigiosi avvocati che non mancheranno di difendere gli imputati sapranno usare bene i mezzi legali a loro disposizione, potrebbero passare anche sei mesi. Gli Stati uniti ora dovranno far pervenire entro 40 giorni una richiesta formale di estradizione all’Ufficio federale di giustizia svizzero (Foj). Ma la richiesta potrà essere impugnata in tribunale.

Il destino di Sepp Blatter come presidentissimo Fifa si compirà invece molto prima. Il 79enne sovrano elvetico del calcio mondiale (e del volume d’affari che genera) affronta con la solita sicumera la crisi del 17esimo anno. alla vigilia di un quinto mandato che sembrava scontato. Sembrava, perché nelle ore che precedono il voto previsto per oggi s’intensificano gli attacchi da parte dei suoi vecchi e nuovi “nemici”. Virgolette d’obbligo anche qui, perché l’immarcescibilità del “boss” potrebbe derivare proprio dal fatto che i suoi peggior nemici restano comunque dei buoni amici.

Ad esempio un “disgustato” Michel Platini, presidente della federazione europea (Uefa),che ieri ha raccontato dell’incontro privato avuto in mattinata: «Gli ho detto: “abbiamo lavorato insieme in tutti questi anni ma oggi ti chiederò di dimetterti e di lasciare la Fifa perché non ne posso più. Sono stato chiaro, l’ho guardato negli occhi e lui ha ascoltato. Poi mi ha risposto: “Michel, capisco ma ormai è troppo tardi”». Candidarsi lui? Mai, contro l’«amico» Blatter.

Un “game over” senza appello arriva invece dal presidente della Federcalcio inglese (Fa) Greg Dyke: «Deve andare via e deve farlo rassegnando lui stesso le dimissioni, oppure va votata la sua uscita, o va trovata una terza via». A differenza di Platini, Dyke non vuole saperne di rimandare il voto. Sa che per avere qualche speranza di cacciare Blatter c’è bisogno di battere il ferro finché è caldo. Lo dice chiaro e forte e con un discreto fuoco di copertura, visto che ieri a tuonare contro Blatter ci si è messo anche il premier britannico David Cameron. Rafforzando così in Putin la convinzione che l’inchiesta sia equiparabile a uno dei tanti raid militari extraterritoriali di Washington e dei suoi alleati. Anche se l’inchiesta che evoca l’assegnazione dei Mondiali 2018 alla Russia (e quelli 2022 al Qatar) sia partita dalla Svizzera e non c’entra con l’azione “rivendicata” dalla ministra della Giustizia Usa Loretta Lynch, quella che ha portato in carcere i sette funzionari Fifa e sta facendo tremare un main sponsor come la Nike per i 30 milioni di dollari che sono ballati per un contratto con la federazione brasiliana.

Blatter finora si è difeso sostenendo che tutto è partito da dossier della Fifa stessa. Nel caso dell’inchiesta Usa il dossier è in effetti quello che la Fifa aveva affidato all’ex procuratore Michael Garcia, salvo poi volerne insabbiare i risvolti più compromettenti. L’Fbi ne ha intrecciato i riscontri con le confessioni rese nel frattempo dal dirigente del calcio americano Chuck Blazer, detto «mister 10%». Ma Blatter, ancora una volta sfiorato dalle accuse, spera di cavarsela anche stavolta.

Comincia invece a crederci il suo antagonista più accreditato. Fratello del Re di Giordania, uscito dall’accademia militare di Sandhurst, Ali Bin Al Hussein ha 40 anni di meno e una poltrona di vicepresidente da cui spiccare il salto. Ma solo cavalcando l’onda del clamore suscitato dall’inchiesta (e il «disgusto» di Platini che annuncia voto a favore di quasi tutte le federazioni europee) il principe potrà scalzare l’orco. Quale che sia l’evoluzione, però, sarà un finale tutt’altro che fiabesco.