La stagione 2017-18 del Teatro alla Scala, già costellata da riprese di opere assenti da diversi decenni (Die Fledermaus, Orphè et Euridice e Francesca da Rimini), raggiunge il culmine con la prima assoluta di Fierrabras di Franz Schubert, in scena dal 5 al 30 giugno. Ultimo cimento compiuto del compositore con la musica per il teatro, quest’opera «eroico-romantica» ha avuto una storia travagliata. Commissionata nel 1823 per il teatro viennese di Porta Carinzia dal direttore Domenico Barbaja, che sperava di bissare il successo di Der Freischütz di Weber, fu accantonata dopo le dimissioni improvvise del segretario del teatro, Josef Kupelwieser, autore del libretto, e dopo l’insuccesso di Euryanthe dello stesso Weber, approdando sulle scene solo nel 1897, quando Felix Mottl, in occasione del centenario schubertiano, ne diresse una versione assai rimaneggiata a Karlsruhe. Fu Claudio Abbado, nel 1988, a presentarla per la prima volta al pubblico nella sua interezza nell’ambito delle Wiener Festwochen, dirette da Alexander Pereira, che l’ha riproposta nel 2014 a Salisburgo nell’allestimento ora in scena alla Scala.

La regia assai generica di Peter Stein si guarda dall’affrontare le congestioni e le incoerenze del libretto, lasciando che i cantanti semplicemente riempiano i vuoti delle sontuose scenografie in bianco e nero di Ferdinand Wögerbauer, ispirate alle illustrazioni di Doré e Gonin, e di rimando alle acqueforti di Dürer, Rembrant e Piranesi, alla ricerca di un pittoresco medievale che stilizzi le atmosfere del poema occitano La chanson de Fierrabras e della leggenda germanica Eginhard und Emma alla base del libretto. Indispensabili al raggiungimento di questo «colore locale» i costumi di Anna Maria Heinreich e le luci di Joachim Barth.

Già allievo di Abbado, Daniel Harding dirige l’orchestra onorando, pur con qualche pesantezza, le raffinatezze sinfoniche e liederistiche incastonate da Schubert in una partitura che tenta di esorcizzare la povertà drammaturgica del libretto con un’ampiezza e un’iteratività che finiscono per avvitarsi su se stesse. Bravissimi i cantanti Dorothea Röschmann, Anett Fritsch, Markus Werba e Bernard Richter.