Chiome di alghe, uova di pesce, denti di cane. Tutto finisce sul nudo cemento della banchina sotto il potente getto dell’idropulitrice che spazza lo scafo, sospeso al braccio della gru. «Io ho fatto, ve la lascio qui così ci potete lavorare» borbotta allontanandosi l’operatore del cantiere nautico. Sotto il sole primaverile le ragazze allora iniziano a raschiare lo scafo con le spatole metalliche per grattare via dalle fiancate e dal fondo piatto della patanella le concrezioni calcaree.

È una giornata di lavori collettivi per «Fie A Manetta», un progetto partito a metà maggio dello scorso anno come «corso di barca a motore per donne e ragazze». Oggi, dopo un anno di scorrerie nella Laguna di Venezia, è diventata un’associazione sportiva dilettantistica registrata. «Senza turismo hanno ridotto il trasporto pubblico, è difficile spostarsi dalle piccole isole. Il barchino ti dà autonomia, ma sono poche le donne che guidano, e muoversi nella laguna è difficile» spiega Marta Canino, 36 anni, ideatrice e allenatrice del progetto, che ha così unito la profonda passione per la laguna, per il mare e la nautica, con la necessità di crearsi un lavoro in questo duro periodo.

«Fie! ora sembra quasi nuova se non guardate la manetta e il motore!» esclama rivolgendosi alle amiche Marta Sottoriva. Ha quasi 30 anni ed è arrivata a Venezia da Padova per studiare all’università. Si sfila i guanti arancioni e osserva la sua barca mentre la gru la cala su un carrello. L’ha comprata da un anziano signore che la teneva ferma da anni. L’area di rimessaggio dei Campi Sportivi di Sacca Fisola è piena di gente che si dà da fare intorno alla propria barca, quasi tutti uomini. Intanto le ragazze hanno finito di stendere la pittura antivegetativa sulla carena della patanella di Martina, è quasi l’ora di pranzo.
Il cameriere serve frittura di calamari e patatine. «La sede è quasi pronta, dobbiamo definire una data per l’inaugurazione. Avete visto la proposta di logo per l’associazione?» Marta, l’allenatrice, è seduta al centro della grande sala illuminata dalle tante finestre aperte sulla laguna. Ciascuna è seduta ad un tavolino singolo, a distanza, ma oggi anche la mensa per lavoratori ai Campi Sportivi sembra un pranzo al ristorante. «Ma cosa dite dell’assemblea di domani, non dovrò mica farlo io l’intervento?» chiede Eleonora alle altre ragazze.

Le sedie sono tutte piene, le persone in piedi occupano una buona parte della piazza, fino al pozzo. Oggi in Campo Santa Maria Formosa c’è l’assemblea lanciata dal Comitato No Grandi Navi. Molte delle ragazze sono qui, fanno parte dello stesso gruppo universitario, Eleonora si prepara l’intervento, alla fine tocca a lei. Ci sono questioni urgenti da discutere, sembra che le grandi crociere torneranno a giugno e il movimento deve decidere come intervenire. Il passaggio di queste navi giganti oltre a danneggiare l’equilibrio della laguna e della città, è anche un fattore centrale nell’economia del turismo di massa che sta distruggendo il tessuto sociale della città, spopolandola. C’è però chi continua a venire a vivere qui, e ci sono attività che provano a mantenere viva la città, a partire dai suoi canali, dalla laguna.

«È una topetta del cantiere Amadi, l’ho comprata a Burano da un pescatore» spiega orgogliosa Marta mentre rimuove il tiemo che copre la sua barca. Stamani è passata a prendere Sara, veneziana di quasi 40 anni, fa la guida turistica e abita sulla terraferma, oggi è sua terza lezione. Sacca Sessola è una piccola isola occupata interamente da un hotel a cinque stelle, chiuso a causa del covid. È diventata un luogo perfetto per gli esercizi. Ma non sono le sole a frequentare questo luogo. Un vogatore si allena remando alla valesana, in piedi e rivolto in avanti, le guarda e passa oltre. Poco più in là un signore, imbacuccato nel suo barchino, sta pescando seppie lasciandosi portare dalla corrente e le osserva, con uno sguardo misto di curiosità e sufficienza. Sara lo ignora e prova l’esercizio: accostare controcorrente al molo. Deve stare attenta «Il motore va comunque verso l’ormeggio?» chiede, «ciò sì!» le risponde subito Marta che segue con premura ogni suo movimento. Manovra perfetta.

Il pescatore di seppie mette in moto e lancia uno sguardo storto, allontanandosi. «Ah bene!» si libera soddisfatta Sara e aggiunge ferma «Come mi guardava è il motivo per cui faccio lezione». Perché «il modo in cui ti guardano – continua Sara – ti toglie ogni sicurezza». Marta si alza in piedi nella barca, preme entrambe le mani contro il molo e per scostarsi dalla riva spinge forte «non era manco beo!». Le due si sorridono mentre il rumore del motore si fa più forte.

Il pomeriggio c’è una nuova lezione. Giovanna ha 58 anni e dirige un albergo vicino al Canal Grande, ha una barca nuova, ma sta ancora imparando a portarla tra rii e canali. «Òe!» grida Marta mentre rallentando gira verso sinistra e passa sotto un ponte «Navigare nella laguna e ancora di più in città a Venezia non è facile». Tutto il traffico si muove su acqua e gli spazi di manovra spesso sono molto ridotti «bisogna sapere cosa fare altrimenti anche le situazioni più semplici diventano pericolose, come far manovra per tornare indietro se si trova un canale bloccato, o come lasciar libera la strada ad una lancia ambulanza stando attente all’onda creata dal suo passaggio».

Nel canale c’è un certo traffico e si procede più lentamente «Quante donne vedete guidare?» domanda Marta accennando agli uomini sulle altre imbarcazioni. «Con me si sentono sicure. Gli uomini ti guardano, giudicano, commentano. Non è come in macchina, non si è chiusi nell’abitacolo, in barca da sole si è come su un palcoscenico». Nella tradizione remiera veneziana la donna ha sempre avuto un ruolo importante, ma la guida della barca a motore è un’attività quasi esclusivamente maschile. Per capire perché bisogna guardare al modello patriarcale. «Per guidare un barchino in laguna non hai bisogno di prendere la patente, quindi si impara in famiglia, e di solito si insegna di padre in figlio. Io ho imparato da piccola da mio zio che non aveva figli. Ma le femmine di solito restano escluse. Anche perché non c’è una scuola, anzi – aggiunge con un sorriso – non c’era!»

Superato l’Arsenale si apre la laguna. Marta sorride e parte a manetta lasciando una lunga scia alle sue spalle, il vento e il mare nei capelli, è il suo mondo. Tra l’isola della Certosa e quella delle Vignole, lungo il canale, Giovanna si mette alla prova con esercizi di inversione a 180°, oppure nel mantenere la barca in posizione, esercizi resi più difficili dalla corrente e dal vento. Fa di testa sua, ma poi completa gli esercizi secondo le indicazioni dell’allenatrice «La scorsa settimana non mi sarei neanche immaginata di fare queste cose, Marta è proprio brava ad insegnare».

Con un rombo si avvicina una barca, è arrivata Chiara con Davide, hanno approfittato della giornata di sole per uscire, ora con tre barche proveranno a rientrare a Venezia simulando una situazione di traffico. Ogni tanto Davide dà dei colpi di acceleratore. Ha quasi 18 anni, abita a Lido. Sua madre Alice ha seguito il corso l’estate scorsa, e anche lui ha preso lezioni da Marta. Ora esce in barca con lei per dare una mano, per perfezionarsi, ma anche, come Chiara, per conoscere meglio la laguna e fare delle uscite in compagnia. Perché il barchino a Venezia è un mezzo di trasporto ma è anche un modo per socializzare. Il progetto di «Fie A Manetta» per Davide è stato importante in questo ultimo anno «mi ha aiutato molto in un periodo difficile». Per ragazzi dell’età di Davide a Venezia non ci sono grandi prospettive, e questo anno e mezzo di pandemia ha solo peggiorato la situazione. Qui non sembra esserci futuro, e i comportamenti dei più giovani sono mal tollerati in una città ormai riservata al consumo turistico.

Questo progetto ha creato dei legami che nella nuova sede ai Campi Sportivi potranno crescere anche senza la mediazione dell’allenatrice. Le donne che in queste settimane iniziano a fare le prime lezioni potranno confrontarsi con quelle che hanno già autonomia, che hanno seguito il corso lo scorso anno e ora partecipano alle uscite di gruppo in laguna.

Sedute a poppa, lasciando dietro di loro una scia bianca, Marta e Sara pensano a progetti per il futuro «la laguna si sta modificando molto – dice la prima – alcune mappe sono superate, segnalano canali che non esistono più».
Sara annuisce «servirebbero dei nuovi strumenti». «potremmo creare una dispensa con istruzioni di base per la guida – riflette Marta – per orientarsi in laguna, dando indicazioni aggiornate su canali e secche, ma anche informazioni di carattere storico». Non è una cosa facile, ne è consapevole «ma farla collettivamente, tutte insieme, sarebbe importante anche per creare un sapere condiviso».