Al senato la discussione sul disegno di legge delega Renzi-Poletti noto come Jobs act riprende domani. Martedì il governo incontra i sindacati: non c’è ancora un orario di convocazione mentre ci sono già le raccomandazioni del relatore, l’alfaniano ex ministro Sacconi: «Si concentrino su rappresentatività e contrattazione». Per il Nuovo centrodestra, cioè, non c’è spazio per un ripensamento virtuoso sull’articolo 18; «Il governo non si fa dettare nulla dai sindacati», ammonisce carico di speranze Alfano. E Renzi è pronto a dargli ragione. Nella stessa giornata di martedì, mentre il lavoro in parlamento viene fermato dalla seduta comune delle camere per eleggere ancora un consigliere del Csm, il Consiglio dei ministri potrebbe autorizzare la questione di fiducia sulla delega lavoro. Che dunque andrebbe in votazione, senza possibilità di discutere gli emendamenti presentati dalla minoranza Pd, mercoledì; il giorno stesso del vertice della Ue sul lavoro che si terrà a Milano.

La fiducia su un disegno di legge che delega al governo, in questo caso una delega praticamente in bianco che permetterà di cancellare quasi del tutto l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, sarebbe una forzatura assoluta. Che oltretutto sfiderebbe la minoranza Pd a far cadere il governo, non potendo l’opposizione di Forza Italia (che pure condivide nel merito il provvedimento) votare la fiducia. Se lo facesse renderebbe plastico qual cambio di maggioranza che Napolitano ha ufficialmente escluso, sarebbe la crisi. Dunque il ministro Poletti cerca di mostrarsi ancora prudente. «Al momento non è prevista la fiducia – dice – stiamo ancora lavorando per trovare una buona composizione delle diverse posizioni». Ma che la formula decisiva sia «al momento» lo prova la successiva dichiarazione del braccio destro di Renzi nel Pd, il vicesegretario Guerini: «È evidente che la tempistica ha una sua importanza, il paese deve correre. Abbiamo bisogno che in Europa si percepisca che il nostro sforzo riformatore sta andando in porto».

Occhi puntati dunque sulla minoranza del Pd, una parte della quale si è riunita ieri a Bologna sotto le insegne della Sinistradem di Gianni Cuperlo. Il quale ha anticipato poco sul suo orientamento finale – «credo nella disciplina di partito – ha detto – ma per questo serve un partito» – ma ha chiarito che «sarebbe un errore se su una legge delega di questa portata il governo scegliesse la via della fiducia». «Noi – ha aggiunto Cuperlo – vogliamo aiutare il capo del governo, ma il modo per farlo è votare una buona riforma sul piano dei contenuti e delle risorse». Più netto Stefano Fassina: «Per quanto mi riguarda senza cambiamenti significativi la delega non è votabile», ha detto, aggiungendo poi che «la direzione imboccata dal governo sul lavoro aggrava la precarietà e la recessione». Anche il presidente della commissione lavoro della camera Cesare Damiano ha detto che «nessuno può mettermi il bavaglio e mi impedirà di votare gli emendamenti che riterrò opportuni». Ma appunto si tratta di una battaglia sugli emendamenti che al senato la fiducia renderà impossibile. Dunque è assai probabile che lo scontro interno al Pd sia rimandato, come in fondo è già successo sia per la legge elettorale che per la riforma costituzionale, alla seconda lettura, stavolta a Montecitorio. Per allora la minoranza Pd conta sulla spinta della manifestazione della Cgil, convocata il 25 ottobre.