Le pettorine blu colorano all’improvviso il piccolo spicchio dell’aula di Montecitorio dove in questa legislatura è ridotta Forza Italia. Le deputate e i deputati le indossano rapidamente, solo uno, il deputato Sestino Giacomoni, il più felpato nella compagnia, ne regge un’altra in mano. Sulle pettorine c’è scritto «Basta tasse» e «Giù le mani dal no profit». Mentre il gruppo dei berlusconiani si raduna al centro dell’emiciclo – i commessi non fanno neanche il gesto di fermarli – per mostrarsi ai fotografi sulle tribune, Giacomoni porta la pettorina al sottosegretario Giorgetti seduto in posizione centrale ai banchi del governo.

Giorgetti l’accetta cortese, prima di piegarla e metterla in borsa fa anche il gesto di indossarla. Come dire: «Potrei metterla anch’io». Si sa che non è un entusiasta della manovra né dell’alleanza che l’ha partorita. Pochi minuti dopo lascia il suo posto tra i ministri e va a sedersi ai banchi della Lega. Intanto Berlusconi chissà da dove dichiara: «Questi gilet azzurri a gennaio saranno in tutta Italia per continuare la mobilitazione contro il governo». Mentre i forzisti vanno fuori al palazzo per farsi fotografare al freddo di piazza Montecitorio, Brunetta si attarda a litigare con un paio di leghisti: «Ma vai fuori», «ma vattene tu».

Alle nove di sera, con 327 sì, la camera ha votato per l’ottava volta in questa legislatura, la quinta nel mese di dicembre, la fiducia posta sull’approvazione di una legge. Perdendo tre voti favorevoli rispetto al primo passaggio della stessa legge di bilancio – in realtà completamente riscritta dopo l’accordo a Bruxelles – e fermandosi a una delle soglie più basse per il governo Conte, partito con 350 voti di fiducia.

Il lavoro straordinario dei parlamentari è proseguito fino a tarda notte perché c’erano da votare le tabelle della manovra e gli ordini del giorno. E non è stato nemmeno l’ultimo atto, perché questo arriverà oggi in tarda mattinata con il voto conclusivo. Poi toccherà a Mattarella. Gli restano poche ore per promulgare la legge di bilancio che sarà poi pubblicata dalla Gazzetta ufficiale nell’ultimo giorno dell’anno. Giusto in tempo per evitare l’esercizio provvisorio, spauracchio che ha giustificato tutte le forzature sia al senato che alla camera.

LE OPPOSIZIONI hanno continuato ad attaccare il presidente della camera, colpevole di aver consentito la votazione della legge senza il lavoro referente della commissione e senza che i deputati avessero potuto almeno leggere il lunghissimo testo. Il capogruppo di LeU Fornaro ha cominciato ricordando i sette fratelli Cervi – venerdì era il 75esimo anniversario della loro morte per mano fascista – «monito contro i rischi di una risorgente tentazione di considerare il confronto politico e il parlamento strumenti inutili».

«Le camere escono distrutte da questa sessione di bilancio», ha detto il deputato di Fratelli d’Italia Corsetto, mentre il forzista Mulè ha accusato la maggioranza di andare avanti «con le scarpe chiodate, un pezzettino dopo l’altro, dalla museruola all’informazione alla disgustosa tappa odierna che narcotizza il parlamento». Fico, secondo il deputato di +Europa Magi, «in un passaggio grave della vita del parlamento si è comportato da burocrate senza alcuna sensibilità né consapevolezza costituzionale».

NEL FRATTEMPO è entrato in aula il presidente del Consiglio e subito dopo di lui il vice Di Maio. «Tutto bene?»ha chiesto Conte al sottosegretario leghista Garavaglia, seduto appena sotto, accompagnando la domanda con un gesto evidente. «Tutto liscio», ha fatto segno Garavaglia.

Anche il capogruppo del Pd Delrio ha cominciato parlando del voto sulla legge di bilancio come «una pagina tra le più buie della storia della Repubblica». Poi tutto il gruppo ha ferocemente litigato con la deputata Teresa Manzo, scelta dai 5 Stelle per la dichiarazione di voto ma un po’ a disagio con il testo dell’intervento – «non ci saranno più i vitalizi a sbaffo» – durante il quale ha accusato i dem di avere in passato favorito «i truffatori». Il presidente Fico ha risposto alle proteste del gruppo Pd spiegando di non aver interrotto la deputata grillina perché aveva colto il termine «truffatori» ma «il soggetto non è stato nominato».

E così, dopo diversi interventi a titolo personale per ritardare la chiama del voto di fiducia, i deputati Pd hanno deciso di rispondere solo al terzo appello, allungando ancora i tempi ma senza poter impedire l’approvazione. Per fermare davvero la manovra avrebbero potuto occupare l’aula, è certo che a parti inverse il 5 Stelle della scorsa legislatura l’avrebbero fatto. Ma anche per il Pd tra qualche settimana di esercizio provvisorio e questa manovra, meglio questa manovra.