È il frutto più amaro della buona scuola. E sta facendo letteralmente impazzire un milione e mezzo di studenti e di famiglie che in quest’anno scolastico – il primo a pieno regime per chi frequenta l’ultimo triennio delle scuole superiori – dovranno trovare una sistemazione, un «tutor esterno», per i mesi che passeranno fuori da scuola: 200 ore per i licei, 400 ore per tutti gli altri istituti.

L’alternanza scuola-lavoro italiana è un «unicum» di cui lo stesso ministero si vanta sul proprio sito: «L’estensione delle attività di alternanza anche ai licei rappresenta un unicum europeo. Persino in Germania, con il sistema duale, le esperienze scuola-lavoro riguardano solo gli istituti tecnici e professionali. Il nostro modello supera la divisione tra percorsi di studio fondati sulla conoscenza ed altri che privilegiano l’esperienza pratica. Conoscenze, abilità pratiche e competenze devono andare insieme», si legge.

PECCATO CHE «IL MODELLO ITALIANO» sia ridotto ad una totale subalternità verso le imprese – definite con un eufemismo «realtà ospitanti» – che in gran numero sfruttano l’alternanza scuola-lavoro semplicemente per avere manodopera gratuita e risparmiare milioni e milioni di costo del lavoro.

I numeri sono impressionanti: 131 mila imprese coinvolte – si arriva a 200mila con associazioni sportive e di volontariato, enti culturali, istituzioni e ordini professionali – finanziati con 100 milioni l’anno più altri 140 milioni stanziati nell’ambito del Programma operativo nazionale scuola. Il tutto con l’obiettivo di «favorire lo sviluppo del senso di iniziativa ed imprenditorialità», si legge sempre sul sito del ministero.

LA DIMOSTRAZIONE VIENE leggendo i testi degli accordi – è tutto trasparente sul sito del Miur – sottoscritti con le imprese. Non a caso le associazioni d’imprese più grandi sono state le prime a firmare «protocolli d’intesa» con il ministero dell’Istruzione: Federmeccanica è stata la prima – addirittura nel 2014 – Confindustria poco dopo, seguita poi in massa ad esempio da Federalberghi – 7 marzo 2016 – mentre tra le aziende più grandi la più pronta è stata Enel – 9 giugno 2016 – seguita da McDonald’s – 29 luglio del 2016 – ed Enel – 2 agosto 2016.

L’ESEMPIO PIÙ LAMPANTE dell’utilizzo dell’alternanza come taglio del costo del lavoro è invece recentissimo. Si tratta di quello sottoscritto da Fico, la Disneyland del cibo, dell’agricoltura e della filiera alimentare che aprirà i battenti a Bologna il 15 novrembre grazie all’alleanza fra Farinetti di Eataly e le coop (ex) rosse emiliane.

Qui il progetto ha addirittura un nome specifico: «Un giorno da Fico», un gigante delle agenzie interinali come attuatore – la Randstad – e numeri monstre: oltre 300mila ore di alternanza scuola-lavoro per circa 20mila studenti di 200 scuole sparse sull’intera penisola. In compenso è previsto un ulteriore sfruttamento: tutte le scuole partecipanti potranno anche richiedere un tirocinio di due settimane nelle filiali Randstad.

IL TUTTO FINALIZZATO a trovare manodopera a costo zero: «La collaborazione con Randstad è per noi molto importante – dichiara Tiziana Primori, amministratore delegato di Fico Eataly World – per la possibilità di coinvolgere giovani e studenti in percorsi finalizzati all’orientamento al lavoro».

PER QUANTO RIGUARDA gli «utilizzatori» la palma tra le imprese se la contendono McDonald’s, Zara e Autogrill. Per quanto riguarda il colosso del fast food non serviva un genio per capire come sarebbe finita: dei 530 ristoranti in Italia oltre il 70 per cento è in franchising – dunque autonoma – e non in grado di assicurare la formazione promessa nel «protocollo» – «moduli teorici formativi sul modello aziendale», «norme di igiene e di sicurezza alimentare». Come denunciano le associazioni degli studenti «il tutto si riduce a dare lo spazzone in mano per pulire i cessi» o «la paletta per girare gli hamburger».

Tutte cose che il fantomatico «comitato paritetico» Miur-azienda per «monitorare la realizzazione degli interventi e proporre gli opportuni adeguamenti» ignora bellamente. Per fortuna anche il Comitato paritetico non costa nulla: «La partecipazione è a titolo gratuito», specifica il protocollo.

MOLTO PIÙ ASCIUTTO e internazionale è il protocollo con il gigante (spagnolo e) globale dell’abbigliamento Zara. Sembra una lezione di inglese: ha un hashtag (#zarahighschool) e mira a fare dell’azienda «i campioni dell’alternanza della buona scuola». Il programma prevede l’acquisizione di competenze in «utilizzo tecnologie di supporto come Rfid (radio-frequency identification), e-commerce, e visual Merchandising».

Peccato che i 576 studenti che lo hanno portato a termine l’anno scorso – un numero identico è previsto per questo e il prossimo anno scolastico – raccontano tutt’altro: «Nessuna formazione, solo vestiti da piegare». E qualche buono pasto per mangiare.