Nel discorso di insediamento di Roberto Fico a Montecitorio gli ingredienti della sua biografia politica ci sono tutti. L’omaggio alla Resistenza al nazifascismo e alle Fosse Ardeatine rimandano alle sue radici culturali a sinistra. La lotta ai privilegi della Casta e la promessa di trasparenza indicano le origini del grillismo, che il neopresidente ha vissuto in prima persona. L’elogio della «legalità», coniugata con una concezione dello stato in bilico tra appartenenza collettiva e singoli cittadini, comunitarismo e liberalismo. «Una comunità unita non può tollerare nessuna forma di illegalità», dice Fico. Che indica un obiettivo sopra gli altri: «Riportare l’equilibrio laddove ci sono squilibri», poiché «è dall’individuo che bisogna ripartire». Altra sintesi efficace della storia politica di Fico viene da Chiara Appendino, sindaca di Torino: «In nove anni siamo passati dai banchetti alla terza carica dello stato».

FICO PROVIENE dalla Napoli bene di Posillipo. Ha fatto diverse battaglie assieme alla sinistra diffusa cittadina. Se lo ricorda chi negli Anni Zero militava nei centri sociali, nei comitati per l’acqua o nella lotta contro la discarica di Chiaiano. Beppe Grillo in quel periodo frequentava Alex Zanotelli, missionario comboniano protagonista di battaglie per i beni comuni e contro l’inquinamento. Così, quando i due organizzano il primo Monnezza Day, nel 2008, Fico c’è già da un po’, da quando aveva fondato il primo MeetUp Amici di Beppe Grillo del capoluogo partenopeo. Curiosamente sarà lui dieci anni dopo a decretare la fine del M5S prima maniera, sviluppatosi attorno ai forum online che spontaneamente si erano diffusi in tutti i territori nei primi anni dell’esperimento politico. «La partecipazione al MeetUp non dà diritto all’uso del simbolo M5S in alcun modo, che può essere usato solo dai portavoce e dalle liste certificate limitatamente alla durata della campagna elettorale», scriverà in una lettera agli iscritti.

AGLI ESORDI Fico segue Grillo e aderisce alla visione salvifica della rete propugnata da Gianroberto Casaleggio. Chi c’era, se lo ricorda in veste di tecnoentusiasta da semplice attivista del nascente M5S, ospite di Radio Radicale al Festival del giornalismo di Perugia del 2011, a raccontare davanti ad uno sbigottito Ben Brandzel, consulente digitale di Obama, la new age annunciata dal web. Poi i percorsi elettorali. Prima di entrare alla camera nel primo sbarco trionfale dei grillini a Roma, e siamo al 2013, era stato candidato a governatore della Campania e a sindaco di Napoli (arrivò sesto, dietro Clemente Mastella). Da laureato in scienze delle comunicazioni in parlamento approda alla presidenza della comissione di vigilanza Rai.

Nella semplificazione delle cronache politiche, spesso gli si ascrive la titolarità di una specie di corrente interna al M5S: quella degli «ortodossi», che negli schemi correnti sarebbero contrapposti ai «pragmatici» di Luigi Di Maio perché meno disponibili a venire a patti con la real politik e più fedeli ai principi delle origini. In un non-partito che non ha uno spazio di dibattito interno le cose sono probabilmente più sfumate.

DI SICURO, PERÒ, Roberto Fico ha vissuto momenti di tensione con il corregionale di Pomigliano. La prima frattura palese avviene quando le beghe della sindaca di Roma Virginia Raggi travolgono il cosiddetto «direttorio». Di Maio difende Raggi e le affianca i due fedelissimi Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede. Fico manifesta insofferenza. Come quando in occasione dello sgombero dei rifugiati di piazza Indipendenza la sindaca e l’allora vicepresidente della camera lanciano la linea del «Prima i romani». Fico (cosa rara tra i grillini) si dissocia senza mezze misure: «Uno stato che si organizza in questo modo per sgombrare un palazzo abitato da bambini, donne e uomini che hanno oltretutto lo status di rifugiati è uno Stato che non mi rappresenta», dice. Parole più vicine a Laura Boldrini che a Di Maio, pronunciate nei giorni che precedono l’elezione online del suo «rivale» a capo politico e candidato premier del M5S. Lui si defila e rifiuta di salire sul palco della convention di Rimini.

SIAMO A SETTEMBRE. Gira voce che Fico abbia deciso di non ricandidarsi. Invece sceglie di esserci, ricuce con il nuovo capo e i 5 Stelle a Napoli raccolgono più del 50%. I calcoli dell’ex rivale Di Maio, che intende coprirsi a sinistra imbrigliandolo ai vertici istituzionali, forse dovranno fare i conti con la sua storia.