«Sull’autonomia differenziata delle regioni non si può pensare che il parlamento non abbia un ruolo centrale. Su questo sono stato e sarò inflessibile. Dovrà passare tutto in parlamento», con «un percorso serio ed emendabile». Alla rituale cerimonia della consegna del Ventaglio da parte dei cronisti parlamentari, Roberto Fico celebra i suoi sedici mesi da presidente della camera con i risultati di cui è più entusiasta: Montecitorio, dice, è diventata «un’eccellenza assoluta», ha un bilancio «al 100 per cento trasparente» consultabile in rete con una grafica a sfere colorate interattive; e dal 19 luglio sarà «plastic free». Ma Marco Di Fonzo, il presidente di Stampa parlamentare, lo riporta alla fase complicata che vive la maggioranza di governo. E al «dossier aperto» delle autonomie differenziate. Fico lo ha studiato e pensa a «una mozione parlamentare» che stabilisca la «cornice entro la quale il governo possa cedere sovranità». L’iter legislativo sarà «normale, con i due mesi in commissione e tutto il resto. Ho le idee chiarissime e non transigo», «Non esistono precedenti. Siamo noi a creare il precedente», dice, archiviando la scuola di pensiero che vuole l’«intesa» fra stato e regioni analoga a quelle fra stato e confessioni religiose. Oggi incontrerà la presidente del senato. Ma non sarà un incontro risolutivo. Secondo le indiscrezioni Casellati, preoccupata di non dispiacere al pattuglione dei parlamentari leghisti, sarebbe incline alle pretese del Carroccio, e cioè a un’«intesa» sulla quale in sostanza il parlamento non tocchi palla.

MA L’AUTONOMIA REGIONALE, rivendicata a gran forza dai leghisti dopo la vittoria delle europee, sembra ormai avviata su un binario a scorrimento lento. Senza che lo stesso Salvini, sempre più disastrosamente impelagato nell’Affaire Monopol, possa o voglia preoccuparsene troppo: purché ai suoi governatori di Veneto e Lombardia, Zaia e Fontana, risulti che la colpa è del l’infido alleato a 5 stelle. Ieri la ministra per il Sud Lezzi ha ribadito la sua linea, opposta a quella della collega Stefani degli Affari regionali (e delle autonomie): il modello leghista sarà «la secessione» ma «secondo il dettato costituzionale, le proposte di Lombardia e Veneto sono impraticabili».

E IN PARLAMENTO, al di là delle petizioni di principio di Forza Italia, l’aria che tira si capisce dal fatto che Fico stavolta prende applausi dall’opposizione, da sinistra a destra. «È assolutamente impensabile estromettere il parlamento su un tema come la cessione della potestà legislativa, su alcune materie, alle regioni», spiega Federico Fornaro, capogruppo Leu, «Il parlamento deve avere l’ultima parola, in un quadro istituzionale improntato ai princìpi costituzionali della solidarietà e con livelli essenziali nelle prestazioni definiti e validi per tutto il territorio nazionale. In caso contrario si metterebbe a rischio l’impianto unitario dello Stato». Dello stesso tenore le parole di Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia: «Siamo diversi in tutto. Ma sulle autonomie mi trovo d’accordo con il presidente Fico», «La cessione di poteri alle regioni non potrà mai aumentare il divario tra Nord e Sud», «al Centro studi della Camera chiederò di misurare scientificamente il divario infrastrutturale tra Nord e Sud, perché tra persone serie quando si stabilisce di mettere le mani su risorse e poteri si devono negoziare le condizioni. Altrimenti si prefigurano le condizioni della rapina».

IL PD IN QUESTE ORE è impegnato a trascinare il vicepremier Salvini a riferire in parlamento sull’Affaire Monopol. Anche su questo Fico è d’accordo: «Quando un’opposizione chiama riportare il dibattito dentro il parlamento è sempre la strada sempre più giusta». Ma la discussione sull’autonomia è di quelle che può terremotare il partito di Zingaretti: il presidente dem dell’Emilia Romagna Bonaccini basa la sua campagna per la rielezione su una proposta di autonomia light però legata a quelle leghiste. I dem emiliani sono con lui. Il resto del Pd si scatena contro il modello lombardo-veneto. Il deputato siciliano Fausto Raciti aderisce agli stati generali della scuola della sua regione: «Non possiamo lasciare che uno degli ultimi baluardi della nostra Costituzione, il sistema di educazione e istruzione nazionale, venga mortificato da Salvini e dai suoi sodali». Per il presidente della Campania De Luca, anche lui autore di una proposta di autonomia, bisogna partire «dalla definizione dei livelli essenziali di prestazioni, poi il fabbisogno standard quindi fare il riparto dei fondi». Serve «un fondo di solidarietà per il Sud». Alle camere «bisognerà fare battaglia e mi auguro che i gruppi parlamentari del Sud sappiano essere uniti. O andiamo verso la spaccatura del Paese».

VENERDÌ IL PREMIER CONTE ha riconvocato il tavolo che si era rotto lo scorso 11 luglio. Ma per una maggioranza naufraga in un mare di guai, l’autonomia non è più il primo pensiero. Anche se Zaia insiste: «L’autonomia sta alla Lega come il reddito ai 5 stelle».