Spunta l’ombra del diritto di recesso sulla fusione con Chrysler e il titolo Fiat, nonostante le smentite dell’azienda, perde in borsa il 3,11% (con il picco di -7,15%).

Le azioni del Lingotto, a quota 6,84 euro, hanno toccato così ieri i minimi da metà gennaio. Una parabola discendente iniziata la scorsa settimana, quando il cda ha licenziato i conti del secondo trimestre con un utile netto più che dimezzato (da 435 a 197 milioni) e l’assemblea degli azionisti ha dato il via libera alla nascita di Fca.

«Il rischio che la fusione salti c’è, non ho mai cercato di negarlo, ma è totalmente gestibile», aveva detto ai giornalisti l’ad Sergio Marchionne al termine dell’assemblea di venerdì scorso. L’ostacolo è appunto il recesso, diritto concesso dal codice civile a soci e creditori.

Chi non ha votato a favore dell’operazione con Chrysler può recedere, ricevendo 7,727 euro ad azione, quasi un euro in più rispetto all’attuale valore. Tra non intervenuti all’assemblea e contrari (l’8% del capitale), il recesso potrebbe costare addirittura 700 milioni. Ma appunto Marchionne ha fiducia e si dice «convinto che questo non avverrà».