Dopo la sentenza della Corte costituzionale sull’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, grazie alla quale la Fiom potrà tornare a fare attività sindacale nel gruppo Fiat, Sergio Marchionne ha maturato la convinzione che in Italia è impossibile fare impresa, minacciando di portare i nuovi modelli Alfa Romeo all’estero. E chi sa ora quali altre punizioni starà elaborando dopo l’ennesima sentenza che dà torto al Lingotto: ieri la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha dato definitivamente ragione alle tre tute blu della Cgil di Melfi: Giovanni Barozzino (oggi senatore di Sel), Antonio Lamorte e Marco Pignatelli sono stati licenziati ingiustamente e devono quindi essere reintegrati.

L’azienda li cacciò nel 2010 dopo uno sciopero, accusandoli di sabotaggio. Secondo la sentenza di ieri, la discussione scoppiata tra gli operai e i capi non giustifica la condotta antisindacale della Fiat: «Anche la società riconosce, come del resto è stato acclarato dall’istruttoria, che tutti gli scioperanti, alcune decine di persone, durante l’astensione avevano stazionato a lungo nell’area di transito dei “carrellini” Agv e che i tre erano rimasti in quella zona solo 5-6 minuti in più per una ragione specifica, esaminata e ritenuta idonea dalla Corte a spiegare quel comportamento e comunque inidonea a giustificare il loro licenziamento in tronco». La Fiat dovrà anche pagare 6 mila euro di spese.

«Oltre alla Costituzione in fabbrica è entrata anche la giustizia e sarebbe un atto di saggezza, per ricostruire un clima di relazioni industriali serie, abbandonare ogni discriminazione contro la Fiom», il commento a caldo di Maurizio Landini, reduce nel pomeriggio da un incontro al ministero dello Sviluppo economico sul dossier Termini Imerese.

La partita con il Lingotto ormai si gioca su molti tavoli. Ci sono i processi ma ci sono anche le vertenze e quella dello stabilimento siciliano è una delle più difficili. Ieri i sindacati confederali hanno portato a casa la sola proroga della cassa integrazione per un altro anno per i circa 800 dipendenti della fabbrica chiusa nel 2011. «C’è la disponibilità della Fiat a un altro anno di cig, ma ancora nessuna certezza», spiega Landini. La situazione resta molto difficile, soprattutto per i dipendenti dell’indotto, «questo è il tema centrale da cui partire a settembre: evitare i licenziamenti. Allo stato attuale non c’è nessun impegno», conclude.

Domani il Landini-Marchionne

Perfino il segretario nazionale della Uilm, Eros Panicali, si dice «un po’ scettico perché alcune delle iniziative presentate erano già presenti a dicembre 2010. Perché non sono partite?». Per Termini Imerese quindi è tutto rinviato ma il prossimo match con Torino ci sarà già domani quando, alle 14, si verificherà il tanto atteso faccia a faccia tra Landini e Sergio Marchionne, in vista della ripresa dell’attività sindacale della Fiom in Fiat: «Soddisfatto? Dovrebbe essere un fatto normale. Abbiamo solo ripristinato un canale di confronto. Vedremo cosa ne verrà fuori. Credo che ci siano le condizioni per superare le vie giudiziarie e per costruire normali relazioni industriali», sottolinea il segretario generale dei metalmeccanici Cgil. Che però incassa la risposta polemica della Uilm: «La Fiom sappia che se si vuol sedere al tavolo del rinnovo contrattuale con noi e Fiat deve riconoscere l’intesa stessa, cioè firmarla». Per le confederazioni del sì l’incontro domani è fissato alle 10 per discutere di contratti per il prossimo biennio.

Ogni scontro offre l’occasione a Marchionne per ribadire l’intenzione di portare fuori dall’Italia la produzione, dimenticando i 100 miliardi di euro di finanziamenti diretti e indiretti elargiti dallo Stato e incassati dalla Fiat in quasi 40 anni. Il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, non ha voluto commentare l’esternazione dell’ad Fiat sulla possibilità di produrre l’Alfa Romeo fuori dal paese tuttavia al question time alla Camera ha specificato che il tema delle delocalizzazioni è di «primaria importanza perché mette a rischio la tenuta competitiva del nostro sistema produttivo». Uno stop quindi, seppure sotto tono.

A rispondere in modo diretto invece è stato il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini: «Non sono d’accordo con Marchionne, che ritiene che oggi sia impossibile fare impresa in Italia. Ci sono molte imprese che in queste condizioni stanno continuando a investire, a crescere, a creare profitto e posti di lavoro. Questo nonostante le indubbie difficoltà». Il tema delle relazioni sindacali resta molto caldo, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale su Fiom-Fiat, e su questo i toni si ammorbidiscono: «Io e Marchionne abbiamo discusso più volte di come migliorare le relazioni industriali. Abbiamo scelto di lasciare alle parti sociali la possibilità di trovare un accordo. Stiamo dando questa possibilità per poi trarre le conseguenze ed eventualmente intervenire sul piano legislativo».

Una replica a due velocità che piace a Landini, nella prima parte ma non nella seconda: «Meno condivisibile la posizione del ministro sulla rappresentanza. La soluzione non può essere trovata solo dalle parti sociali, il governo e il Parlamento non possono essere solo spettatori. La Fiat, tra una polemica e l’altra, non fa gli investimenti promessi, in particolare a Cassino e Mirafiori, mentre continua a sviluppare le produzioni all’estero. «Credo che a un’azienda importante come Fiat serva un interessamento diretto del governo come avviene in molte parti del mondo», conclude Landini.