Il Jobs act non è ancora legge, ma la Fiat – pardon, la Fca Italy – mette le mani avanti. Minacciando di licenziamento chi fa troppi giorni di malattia. Lo fa nella sua fabbrica più grande – 6.600 operai – e meno colpita dalla crisi, quella Sevel di Atessa (Chieti) dove si è continuato a produrre il camion Ducato anche quando tutte le altre fabbriche italiane erano chiuse. Facendo capire in modo assai chiaro di essere pronta ad usare le nuove norme sui licenziamenti per sbarazzarsi di chi è poco produttivo.

Lo fa con una lettera recapitata ad inizio anno una ventina di dipendenti che nel 2014 hanno collezionato un numero di assenze per malattia troppo alto per i criteri di Marchionne. Nella lettera della Sevel inviata ai lavoratori interessati si legge che «pur non contestando la validità di tali certificazioni, né la piena legittimità, alla luce delle vigenti disposizioni di legge, di tali assenze, riteniamo tuttavia utile segnalarle come questa situazione non può non avere rilevanti riflessi sulla continuità della sua prestazione lavorativa. Dobbiamo altresì aggiungere – si legge ancora – che, perdurando una discontinuità nella prestazione lavorativa quale quella evidenziata, l’azienda si riserva ulteriori e più approfondite valutazioni e decisioni in merito alla prosecuzione del suo rapporto di lavoro con la nostra società».

In Sevel la Fiat da anni porta avanti una battaglia contro – un supposto – assenteismo. Una guerra in cui non ha lesinato alcun strumento. Arrivando addirittura ad assoldare investigatori privati per pedinare tutti i lavoratori che usufruiscono della legge 104, quella che permette ai familiari di persone con gravi disabilità di assentarsi dal lavoro per poterli assistere. L’aver trovato alcuni lavoratori che nelle giornate di 104 non stavano accudendo i loro cari ha portato ad almeno 4 licenziamenti. In più lo scorso 6 settembre la Cassazione ha definitivamente confermato un licenziamento per assenteismo giustificato. L’azienda a quel punto aveva gonfiato il petto – e forte anche delle aspettative del Jobs act – ha copiato parti intere della sentenza nella lettera inviata ai dipendenti a rischio per troppe assenze. Ma allo stesso tempo la Fiat Sevel ha dovuto subire una doppia sconfitta: due fratelli licenziati per assenteismo e seguiti dall’Usb sono stati reintegrati dal giudice del lavoro.

La lettera ha portato ad una reazione sindacale forte. In un comunicato si legge «La lettera della Sevel è una vera e propria intimidazione, perché in questo caso non vengono contestati false malattie, ma si sostiene che non ci si può ammalare più di tanto, altrimenti si può essere cacciati». Più articolati i giudizi delle varie sigle. Per la Fim Cisl «la lettera non è una novità, da dieci anni la Sevel copia il cosiddetto “modello Michelin” comunicando a chi fa più malattie che è a rischio – spiega il responsabile auto Ferdinando Uliano -. Certamente la lettera vuole incutere paura nei lavoratori, ma non ha nessuna valenza giuridica e contrattuale e fa riferimento ai certificati medici». Per la Fim Cisl quindi non ci sono pericoli reali per i lavoratori «in buona fede»: «Non bisogna creare un clima di terrore. Se l’azienda procedesse al licenziamento di questi lavoratori noi riusciremmo a dimostrare che sia un licenziamento discriminatorio», chiude Uliano.

Di parere ben diverso la Fiom Cgil. «Con il Jobs act vengono meno gli elementi che hanno impedito alla Fiat di licenziare moltissimi operai in questi anni: basterebbe mascherarli per licenziamenti economici o disciplinari», attacca Davide Labbrozzi, segretario provinciale di Chieti. Per la Fiom poi l’assenteismo denunciato dalla Sevel «è in linea con gli altri stabilimenti Fiat e con le fabbriche del territorio. La Fiat nel frattempo ha imposto la saturazione delle linee e ha tolto postazioni in linea». Anche per queste ragioni la Fiom ha proprio ieri proclamato lo sciopero contro i 3 giorni di straordinario – due sabati e una domenica notte – previsti a gennaio. «Qua ad Atessa produciamo lo stesso numero di camion degli anni scorsi ma siamo mille in meno. Vogliamo aprire un tavolo aziendale per nuove assunzioni – di mille precari ne sono stati stabilizzati 50 – e un’analisi dei carichi di lavoro», conclude Labbrozzi.