Soffrivamo di sinusite già a 16-17 anni e quella strana parola, mai sentita prima, ci faceva pensare a una brutta malattia. Ma i dottori ci prescrissero soltanto dieci giorni di aerosolterapia ad Abano, centro termale sui colli Euganei vicino a Padova. Alla facoltà di medicina, presso l’università di quella città, s’era iscritto Antonello, più grande di due-tre anni, e modello di riferimento fra noi amici per serietà e applicazione allo studio.

Alloggiava in sub-affitto nel quartiere Arcella oltre la ferrovia e da Abano scendemmo in città per incontrarlo. Di giorno in ateneo seguendo i corsi del primo anno, di sera in camera col librone di anatomia che a sfogliarlo trasmetteva affanno e a reggerlo richiedeva un certo sforzo. Voleva farci visitare palazzo del Bo, storico edificio degli studi sul corso principale. Optando per medicina a Padova sapeva di essersi trovato in un’università rinomata dove spirava un’aria di tradizioni plurisecolari, un’aria un po’ muffosa a dire il vero, ma pur sempre di tradizioni.

E ci saremmo resi conto presto che quelle, lungi dall’andarsi a disperdere, si tramandavano intatte sebbene il ’68 bussasse ormai alle porte. Quasi dirimpettaio all’ateneo si erge il neoclassico edificio a colonnato del caffè Pedrocchi e vi entrammo incuriositi. Antonello ci aveva edotti del periodo (l’Ottocento) in cui quel caffè era stato frequentato da personaggi storici del Risorgimento. Non ci aveva parlato però, a proposito di tradizioni, di Padova città di goliardia, ossia degli scherzi più o meno pesanti che studenti prossimi alla laurea compivano a scapito delle matricole. La goliardia era un po’ l’altra faccia del nonnismo nelle caserme; dei militari, anziani di servizio, che facevano prepotenze nei confronti delle reclute. All’interno del caffè Antonello si trovò attorniato da quattro-cinque giovanotti, alcuni dei quali esibivano il copricapo goliardico con tesa a punta. Poche parole e da una tasca spuntò una scatola di fiammiferi che gli fu passata.

A quel punto credevamo che comparisse il pacchetto di sigarette perché ne fosse accesa qualcuna. Sbagliato. Vedemmo Antonello chinarsi sul marmo del pavimento del salone e poggiare con cura uno dei fiammiferi (da cucina) al quale ne faceva seguire un altro. Quindi spostava il primo fiammifero e lo aggiungeva, per lungo, al secondo.

Quest’ultimo dopo il primo e così via. Una fila di due soli fiammiferi che toccandosi avrebbe dovuto coprire una determinata distanza. Il poveretto doveva contare il numero di volte che li spostava. Inizialmente i goliardi avevano preteso di conoscere la distanza calcolata in fiammiferi fra il Pedrocchi e il Bo. Ma cominciando a imbrunire ridussero quel castigo di Dio, inflitto sul nostro amico, che suscitava ilarità fra passanti abituati a simili scenette. Spassose da osservare, atroci da subire.