A quasi cinque anni dalla morte esce, a firma di Elena Pontiggia e per i tipi della casa editrice nuorese Ilisso, una monumentale monografia dedicata all’opera di Maria Lai (Maria Lai. Arte e relazione, in collaborazione con il Banco di Sardegna, anche in inglese). Dopo le edizioni 2017 di Documenta e della Biennale veneziana, che le hanno tributato l’onore che si concede ai grandi maestri, Elena Pontiggia, storica e critica d’arte rigorosa e vocata all’arte italiana del Novecento, propone un saggio di rara forza ed equilibrio esegetico, intrecciando il proprio punto di vista alle dichiarazioni di poetica – tante, limpide nell’enunciato e liberissime – dell’artista sarda. «Maria Lai è un’artista che aveva il dono anche della parola – dice l’autrice – Al contrario di tanti, sapeva essere profonda e affascinante quando parlava del suo lavoro. Per il libro avevo pensato inizialmente al titolo: Maria Lai. La sua arte e le sue parole, ma non funzionava…».

IN DIECI CAPITOLI e oltre trecento pagine Elena Pontiggia descrive una biografia artistica lunga quasi sette decenni, appartata per volontà e scelta, ma di profondo respiro culturale. Maria Lai è da subito un’artista internazionale nello sguardo, mai provinciale: sin dagli esordi – dapprima a Roma con Marino Mazzacurati e poi con a Venezia con Arturo Martini – è un’intellettuale attenta e informata delle più avanzate novità artistiche, novità che riflette sempre nel proprio lavoro e sulle quali medita, per trattenerne spunti d’ispirazione sui cui fondare un’espressione del tutto originale e personale. Pontiggia ha svolto con passione ed evidente piacere, cosa rara di questi tempi nel panorama editoriale della storia dell’arte, un lavoro certosino di rilettura della ormai copiosa letteratura critica su Maria Lai, operando ad ampio raggio, riconsiderando anche il materiale filmografico, gli episodi di per sé effimeri come le azioni performative e quelle teatrali, con il corredo di brevi interviste, di frasi consegnate ai compagni di viaggio e agli amici. E la piccola (nella vita vera; lei ricordava che Arturo Martini la chiamava microrganismo) statura di Maria Lai cresce, fino a farne una figura imponente, scultorea della cultura italiana e oltre del secondo dopoguerra.

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Maria Lai

Un’artista autenticamente internazionale, universale nelle intenzioni, nei postulati estetici della propria opera: questo emerge dalle pagine della monografia a lei dedicata, che ci offre una prosa scorrevole e moderna, dove il continuo – come un colloquio ininterrotto – rimando e confronto con le parole dell’artista ogliastrina scorre con una naturalezza che sorprende.
L’autrice è partita da una prospettiva più esterna, con un’osservazione meno emotivamente coinvolta e più aperta, attuando uno sforzo significativo e saggio per conoscere una cultura, quella sarda, intrisa di miti e leggende e di appartenenza degli uomini a un paesaggio levigato dal vento e segnato dalle rocce, dalla saturazione azzurra del cielo.

SCULTRICE E DISEGNATRICE di vuoti in cui fare fluire l’aria e i pensieri, Maria Lai nei molti decenni in cui visse lontana dall’isola, ha sempre fatto riferimento, nelle opere e nelle parole, alle vastità anantropizzate – se così si può dire – della Sardegna. E anche ai suoi suoni e ritmi: ai canti pentatonali e alle storie tramandate, alla cultura materiale. Così Pontiggia sul tema:« Intendiamoci, il suo mondo poetico che affonda le radici nell’Isola; la trama di miti, arte, saperi della civiltà sarda che permeano la sua opera non sono dimenticati, anzi sono esaltati. È merito loro se l’arte concettuale di Maria Lai non è mai cerebrale, ma ha sempre un colore esistenziale e attinge a una sapienza senza tempo».
Sulla base di questa considerazione, che l’opera di Maria Lai costituisca un corpus organico di opere e azioni artistiche che si allacciano a una trama esistenziale, sviluppandone un disegno fatto di nodi e incontri, di lanci e riprese, dove trovano senso e valore anche ambiti tradizionalmente minori come il libro d’artista (libri cuciti, su tela, su carta, in ceramica), Pontiggia dà massima luce all’operato ultimo di Maria: le azioni di arte pubblica, l’arte di relazione che ha impegnato gli ultimi decenni della sua vita.
Il suo testamento, per certi versi, e la sua eredità più vera, fatta di interventi ambientali, di operazioni di interazione diretta con le persone: in questo Lai fu un’antesignana in Italia.

DA «LEGARSI ALLA MONTAGNA» del 1981, – opera d’arte relazionale tra le più incredibili che il nostro Paese abbia conosciuto, quando un multichilometrico nastro celeste, passando di casa in casa, consentì a un’intera comunità di avviare un lungo processo di riconciliazione collettiva – giù fino a Essere è tessere, azione corale tenutasi a Aggius nel 2008, Maria Lai provò con impegno a mettere in atto i dettati munariani, Non arte di tutti, arte per tutti, e ancora Gli altri siamo noi. Inverare la speranza, dandole concretezza, che l’arte e il suo soffio d’infinito possano entrare nella vita di tutti e di ciascuno per migliorarla un po’ ogni giorno.
Ottimamente impaginato, con una sobria libertà d’impianto visivo e un corredo iconografico invidiabile, il libro è un viaggio magnifico, guidato da un capitano saldo al timone.