E’ una sconfitta mascherata da vittoria, ma forse è vero il contrario: nel circo equestre azzurro non si può più dire. Berlusconi, contro ogni previsione, ha portato tutti i suoi deputati a votare contro la riforma che lui stesso aveva scritto con Renzi. Si è sganciato solo Rotondi il democristianissimo, leader di un fantomatico governo ombra la cui esistenza era sfuggita anche ai fantasmi. Però questo brillante risultato Berlusconi l’imputato lo ha ottenuto mettendo in campo tutti i sentimenti, chiamando uno per uno i deputati, rinfacciando a tutti di volerlo accoltellare proprio nel giorno della sentenza più temuta.
I ribelli si sono piegati. Hanno votato come Silvio comandava. Poi hanno sfoderato un documento al vetriolo, mirato dritto al testone del capogruppo Renato Brunetta. Parole quasi identiche a quelle che usa ormai da mesi Raffaele Fitto. «Deficit di democrazia, partecipazione e organizzazione» nella conduzione del gruppo. Riunioni convocate solo per «ratificare decisioni prese altrove».
Il nome del sostituto di Brunetta i nuovi ribelli ce l’hanno bello e pronto: Elio Vito. Ma sullo sfondo campeggia un dissenso che non tocca solo Brunetta ma la linea decisa dal capo, quella dell’opposizione vera e a tutto campo, anche sui capitoli dello stracciato patto del Nazareno. In calce al documento ci sono firme berlusconianissime come quella di Daniela Santanchè, ma ancor più rivelatore è che due come la Gelmini e il capo dei senatori Romani, che oltre il ventriloquo di Arcore non erano mai andati, dichiarino quasi con le medesime parole che, pur votando contro le riforme, «Fi deve restare riformista».
Fi unita in aula ma lacerata un attimo dopo. Una vittoria o una sconfitta per Berlusconi? Lui sceglie di interpretarla come un successone, e forse non ha torto. Perché i documenti passano, le posizioni in aula restano. Fi è rimasta unita, ha evitato per un soffio il tracollo. E Berlusconi, quello stesso che aveva guaito e pianto al telefono tutta la notte, passa all’incasso. Ai magnanimi che vanno dicendo di aver votato solo per buon cuore non concede quasi niente. La sua nota è ancor più velenosa di quella dei «verdiniani»: «Le cassandre che descrivevano il nostro come un movimento politico lacerato sono state smentite». A «chi esprime perplessità» ricorda che «non siamo stati noi a interrompere in percorso virtuoso»: frecciata indirizzata a chi di quel percorso era stato regista e mallevadore, di chi aveva garantito per l’affidabilità di Matteo il traditore, dunque di Denis Verdini. Un colpo alla Lega, per la prima volta bollata come «populista di destra», uno ai fittiani, ai loro «protagonismi di troppo», ai loro «distinguo dal sapore un po’ strumentale». Conclusione trionfale: per noi «si apre una nuova era di centralità».
Col partito spaccato in tre, con i suoi fedelissimi mezzo ammutinati, Berlusconi ha deciso di darsi per vincente. Come spesso capita in questi casi, è meno visionario di quanto non sembri. Non ci sono documenti che valgano un voto come quello di oggi: se Verdini deciderà di uscire per passare armi e bagagli a Renzi, non si porterà dietro venti e passa parlamentari ma meno di dieci, e che lo faccia davvero, in realtà, non è affatto detto. Perché dopo aver mostrato una Forza Italia per la prima volta da tempo immemorabile unita, assumersi la responsabilità di spaccarla di nuovo sarà difficilissimo. E questo nessuno lo sa meglio di Berlusconi.
Dunque, una sconfitta travestita o il contrario? Difficile dirlo, soprattutto perché, come spesso capita quando c’è di mezzo l’imputato cronico, la risposta dipende in buona parte da quel che succede non nei palazzi della politica ma in quelli dove si amministra la giustizia. L’ombra della sentenza Ruby ha pesato e pesa su tutta la parabola azzurra. Berlusconi l’ha usata come arma di ricatto morale per forzare la mano ai riottosi, ma quelli, a loro volta, calcolano col bilancino se davvero gli convenga dipartirsene proprio ora che il colpo di grazia giudiziario potrebbe spalancare i cancelli alla divisione dell’eredità. Ma se nella notte arriverà l’assoluzione, Berlusconi uscirà anche politicamente fuori dal giorno più lungo molto meglio di quanto chiunque immaginasse.