In tempo di crisi si cercano vie di fuga, che siano mentali o fisiche poco importa. E la selezione della settima edizione dell’itinerante Festival del Cinema Spagnolo (a Roma dall’8al 13 maggio, Milano dal 15 al 18 e a Firenze dal 6 all’8 giugno, info sul programma www.cinemaspagna.org) racconta, in alcuni dei titoli più significativi della sezione principale, La Nueva Ola, proprio questo tentativo, talvolta disperato, di andare oltre la realtà esistente. A partire dall’opera vincitrice di sei premi Goya che oggi inaugura la manifestazione: Vivir es fácil con los ojos cerrados di David Trueba.

Ambientato nel 1966, dunque nella Spagna franchista, il film ha per protagonisti tre personaggi che evadono, chi per realizzare un sogno, chi per paura e vergogna e chi per ribellione. A bordo di una utilitaria scassata, oltre al professore liceale d’inglese e latino, Antonio, salgono Belén e Juanjo. Il primo è intenzionato a incontrare John Lennon, il suo mito, che in Almería sta girando sotto la direzione di Richard Lester, Come ho vinto la guerra, e che in quel soggiorno, anch’esso una sorta di fuga, compone Strawberry Fields Forever, nel cui testo è compresa la frase da cui prende spunto il titolo del film: Living is easy with eyes closed. Ossessionato dai Beatles e dalle canzoni che propina di continuo ai suoi studenti, Antonio non ha gli strumenti per potersi opporre al regime, può solo combattere con la forza dell’immaginazione, dedicando la sua vita di insegnante ai ragazzi. Fuori dalla scuola è solo e inerme.

Meno sognatori sono i due passeggeri raccolti casualmente per strada. Belén è una ragazza rimasta incinta costretta ad allontanarsi momentaneamente dalla famiglia per evitare lo scandalo, fino a quando non avrà partorito e lasciato in adozione il bambino. Juanjo è un sedicenne con un padre poliziotto, che per i suoi capelli lunghi viene torturato dalla famiglia e da chi non accetta il nuovo look dei 60. Entrambi in fuga, con Antonio riscoprono, tra vari imprevisti, il senso dello stare insieme.

Film di buoni sentimenti, costruito per stare a metà tra la commedia e il dramma, che si avvale inoltre delle musiche di Pat Metheny, la storia sembra suggerire di continuo che se un trio improbabile si mette in testa di incontrare John Lennon e di cambiare vita negli anni di Franco, allora chiunque oggi saprà superare quella che appare come una crisi senza fine.

Decisamente meno animato da buoni sentimenti è il protagonista di Todas las mujeres di Mariano Barroso. Nacho è un veterinario, artista della fuga e della manipolazione dei sentimenti, diviso tra una moglie che lo lascia o che forse è lui a voler abbandonare, e un’amante ventenne che lo aiuta a organizzare un furto di sei vitelli ai danni del suocero. Il colpo, però, va male e ora Nacho rischia di essere scoperto e finire in carcere. Nel tentativo di trovare una soluzione che lo tiri fuori dai guai, chiama una dopo l’altra le donne della sua vita: l’ex fidanzata avvocato che lo consiglia di costituirsi, la madre che dovrebbe dargli un assegno per evitare le ire del suocero, la cognata con la quale cerca di costruirsi un’immagine del tutto diversa da quella del ladro e mentitore patologico e, infine, un’analista, privilegiata tra tutte perché estranea al mondo di Nacho. Proprio ques’ultima figura, richiama alla mente la costruzione narrativa di In Treatment, con la differenza che nella celebre serie tv lo psicologo cerca di portare i suoi pazienti verso la realtà mentre, all’opposto, Nacho dà indicazioni errate per fuggire continuamente da se stesso prima ancora che da chi lo circonda.

Altra evasione è quella della quarantenne Geni. Anche lei vuole allontanarsi da se stessa, dalla sua vita, ma in modo diverso da Nacho che pensa solo a come apparire e che diffida di ogni sguardo, al punto da costruire una sua realtà alla quale gli altri devono aderire. La protagonista raccontata dalla regista Mar Coll in Tots volem el millor per a ella, si trova in difficoltà, non riesce a comprendere la sua posizione nel mondo, soprattutto non riconosce più i luoghi dove ha sempre vissuto. Geni ha subito un drammatico incidente la cui dinamica resta ignota allo spettatore. Le conseguenze, però, sono visibili. Sia quelle fisiche, il ginocchio destro gravemente menomato che la fa zoppicare, sia quelle psicologiche, perdita di orientamento e improvvise amnesie. Un incidente che le provoca progressivamente una trasformazione della personalità. Geni lascia il suo lavoro e non si impegna a trovarne un altro, inizia a distaccarsi da suo marito e dalla famiglia e, dopo un incontro casuale, prova a ricostruire una relazione con Mariana, una vecchia amica che sembrava persa nel rancore di un passato lontano e ormai dimenticato.

Geni scopre di voler essere una donna diversa capace di fuggire dal mondo borghese circostante. Paradossalmente libera nella sua instabilità e fragilità, può finalmente decidersi a tagliare tutte le corde che la legano a un mondo dove i bisogni e i doveri superano di gran lunga i desideri. Un altro suggerimento per sconfiggere la crisi odierna? Idealmente la fuga di Geni trova un possibile esito nelle vicende tragicomiche di Carmina, la protagonista di Carmina o revienta opera prima di Paco León, realizzata nel 2012 e che ora in Spagna ha già un seguito con Carmina y amén.

Carmina, interpretata dalla madre del regista, ha una figlia di ventidue che non sa fare niente, María (la cui interprete a sua volta è la sorella del regista), una nipotina di quattro e un marito, Antonio, che si dedica alla vita contemplativa e all’alcol. Carmina ha anche un bar ed è alle prese con una serie di disgrazie che, però, non la piegano in nessun modo. Sfrontata e capace di trovare soluzioni all’occorrenza, si pone esattamente a metà strada tra Nacho e Geni. Unita ai due personaggi dei film precedenti da un filo rosso che si riassume nella canzone che chiude il film: I Will Survive, interpretata da Melanie Safka, la cui voce sembra chiudere un cerchio che era iniziato negli anni Sessanta con il campo di fragole di John Lennon.