Quattro dita e una sospensione. Fa discutere a distanza di giorni il caso di Ahmed Abdel Zaher, attaccante del club egiziano Al Ahly, sospeso per aver celebrato una delle due reti messe a segno nella semifinale di Champions League africana contro gli Orlando Pirates con «il saluto di Rabaa», quattro (rabaa in arabo) dita sollevate, riconoscimento semi-ufficiale dei sostenitori del deposto ex premier Morsi e della Fratellanza Musulmana, di recente dichiarata organizzazione fuorilegge. Insomma, un saluto pro Islam, trend topic fatto proprio dai principali blogger islamici nei giorni successivi. Ricordando che fuori dalla moschea di Rabaa Adawiya lo scorso 14 agosto si è verificato il più grande massacro anti islamico dopo la defenestrazione di Morsi. Per Zaher, stipendio congelato, niente campo e poche chances di affrontare il Bayern Monaco di Pep Guardiola al prossimo Mondiale per club. Sarà ceduto, nonostante le scuse. Impacchettato e spedito via perché sport e politica non vanno mescolati, la posizione ufficiale della società egiziana. Zaher ha detto di aver voluto commemorare le vittime della feroce violenza di Rabaa Adawiya, senza diffondere un messaggio di vicinanza alla causa dei Fratelli Musulmani. Una posizione che però stride con le immagini del calciatore che visita la moschea, prima del massacro. L’ostracismo politico aveva colpito qualche tempo fa un campione egiziano di kung fu, Mohamed Youssef Ramadan, che eseguiva il saluto di Rabaa durante una gara in Russia. Un anno di squalifica.

In Italia c’è un’ampia letteratura di gesti politici sui campi di calcio. Partendo dal caso Buffon nel 1999: mostrata alla curva del Parma una maglia con scritto «boia chi molla», motto fascista d’attualità durante i Moti di Reggio Calabria 1970. Il portiere della Nazionale poi confesserà di non saper nulla del significato politico della frase, letta su un cassetto di un tavolo, ai tempi del collegio. Paolo Di Canio faceva peggio, aizzando la Curva Nord con il saluto romano dopo un gol alla Roma in un derby vinto dalla Lazio del 2005. Gesto ripetuto poi contro Siena, Livorno, Juventus. E riproposto anni dopo da altri laziali come Mauro Zarate e Stefan Radu. Protestava invece contro il presidente argentino Cristina Kirchner il centravanti dell’Atalanta German Denis: due gol all’Inter e una maglia con una K barrata, solidarietà ai manifestanti antigovernativi argentini. Un anno fa in Germania scoppiava un caso dopo il saluto nazista di Mario Mandzukic e Xherdan Shaqiri del Bayern Monaco dopo un gol della punta croata al Norimberga. Un gesto che seguiva l’annullamento della condanna per crimini contro l’umanità dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac. Per entrambi i calciatori, nessun provvedimento, come per il portiere australiano dell’Aston Villa Mark Bosnich, che 17 anni fa faceva il saluto nazista verso i tifosi del Tottenham, in buona parte di fede ebraica. Appena mille sterline di multa.
È invece andata peggio a Giorgios Katidis, greco ex Aek Atene squalificato a vita da tutte le Nazionali (per poi essere ingaggiato dal Novara) per un saluto nazista – «Non sapevo chi fosse Hitler» si giustificava – in un match di Super League contro il Veria.