Alla Mibex di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, oggi si fanno gli straordinari. Non è il segno della ripresa ma la conseguenza dei tagli: «Purtroppo quello che sembra un paradosso è ormai diventato un insopportabile trend: prima licenziano 47 lavoratori, poi chiedono agli altri di fare gli straordinari per il 2 e il 3 giugno» spiega il senatore Giovanni Barozzino, capogruppo di Sinistra Italiana in commissione lavoro.

In origine lo stabilimento si chiamava Fag, poi diventato Vlf e infine Mibex srl. Così ha ribattezzato la fabbrica di cuscinetti a sfera per le ferrovie la nuova proprietà torinese, Massucco Industrie spa, subentrata nel 2013. Nel sito partenopeo lavorano 106 dipendenti, l’anno scorso per tre mesi non sono arrivati gli stipendi. L’azienda dichiarava un buco di bilancio di 400mila euro, per risanare il debito propose agli operai di versare il proprio Tfr nelle casse della Mibex: proposta respinta. Una soluzione provvisoria fu trovata grazie a un accordo tra regione Campania e ministero dello Sviluppo economico ma nessun piano credibile è stato messo sul tavolo.

«Il sito vesuviano rifornisce un’unica azienda, la tedesca Ina Schaeffler – spiega Franco Percuoco, segretario della Fiom di Napoli -. Il programma proposto da Mibex non garantisce una continuità produttiva, neanche a breve termine, con un solo committente». Altri mercati non sono stati trovati, o cercati, e l’azienda ha aperto la procedura per i licenziamenti collettivi, un taglio da 70 unità, tutte famiglie monoreddito. L’accordo proposto dalla proprietà per evitare la drastica riduzione del personale prevedeva un minor numero di licenziamenti (tra i 45 e i 50) a fronte di rinunce: il taglio dei 13 permessi annui retribuiti per i successivi tre anni; la riduzione dei giorni di ferie; la disdetta dell’accordo di secondo livello. In sostanza, l’eliminazione di una serie di diritti e un taglio in busta paga da 300 euro in su al mese. La proprietà però offriva ai licenziati la possibilità di trasferirsi nel proprio stabilimento ungherese con la paga italiana per due anni e poi con lo stipendio locale. L’accordo è stato bocciato da sindacati e dipendenti così, finiti gli ammortizzatori sociali, mercoledì scorso sono partite le prime 47 lettere di licenziamento, entro 120 giorni potrebbero diventare 70.

I lavoratori hanno provato a resistere con presidi ai cancelli, manifestazioni nelle strade di Somma Vesuviana. Dopo dieci giorni di proteste, gli operai superstiti si sono ritrovati con la richiesta di straordinario per rispettare i tempi di consegna. Rimasti in pochi e con lo spettro della chiusura per spostare tutta la produzione in Ungheria, diventa impossibile dire di no. La Fiom ha offerto assistenza legale per impugnare i licenziamenti. Barozzino annuncia un’interrogazione sia al ministro del Lavoro che dello Sviluppo Economico: «E’ necessario riaprire un tavolo di confronto tra governo, azienda e sindacati per evitare il rischio di perdere un’importante realtà storica industriale del territorio».