Forse solo Davide Ferrario poteva realizzare un progetto in cui lui non mette verbo, lasciando a Franco Arminio la dittatura della parola. Nuovo cinema paralitico, questo il titolo, del lavoro firmato dai due, non è un film, neppure un documentario, è altro ancora. I due hanno vagato per una grande quantità di località italiane lasciando che la macchina da presa, spesso fissa, riprendesse. Anche quando non accadeva nulla. Apparentemente.

PRENDETE per esempio le persone che escono dalla chiesa presumibilmente dopo una funzione religiosa. Sono riprese a media distanza. Non si coglie quel che dicono. Semplicemente escono, chi da solo, chi con altri, prevalentemente sono donne, molte vestite di nero, qualcuno fatica a camminare, c’è anche una bimbetta, felice. Tutto qua. Eppure qualcosa arriva, induce a guardare, a pensare. In altri casi nell’immagine è presente Franco Arminio che declama poesie, talvolta colpisce nel segno, altre volte meno. Ma, anche in questo caso, non importa, non sempre si può dire «il mondo si sta suicidando, i ricchi ci hanno messo la corda, i poveri il collo». Ci può stare anche qualche semplificazione che invita a frequentare spiagge poco praticate anziché Riccione dove, secondo Arminio «gli stabilimenti della costa romagnola stanno ai turisti come le gabbie ai polli d’allevamento». Ecco, forse conosce il pregiudizio delle vacanze in Romagna, ma non conosce i romagnoli che potrebbero piacergli.
La premessa di tutto consiste nella frase «dio non è morto, dio ci ha licenziato, la poesia lotta per farci riassumere, la poesia è il nostro sindacato», così esordisce il poeta, mentre Ferrario si lascia condurre, trovando i suoi momenti iconici come il monumento alla filosofia, o il cinema Mele di Pizzo Calabro in cui il poeta si aggira un po’ smarrito, del resto per sua stessa ammissione dichiara di non avere visto più di cinque film in vita sua. Peccato. Però con il suo radicalismo fuori tempo ha sedotto Ferrario (che tra l’altro ha girato e terminato due film a soggetto bloccati dalla pandemia) proprio quando i due si sono incontrati e il regista raccontava al poeta che avrebbe girato un film d’azione. Risposta «che palle!».

E DAVIDE decide «perché non accendere la macchina da presa sulla realtà più quotidiana per scoprire se, anche nelle cose più ovvie, davvero non succede nulla?». Il risultato è questo Nuovo cinema paralitico, lavoro discontinuo che rischia di risultare estraneo se non si cerca di entrare dentro, di coglierne lo spirito, di lasciarsi interrogare da una bicicletta legata a un palo dove c’ è un mazzo di fiori per ricordare qualcosa, o da una casa provvisoria dei terremotati di Amatrice.
Se si dovesse rintracciare una continuità con i precedenti lavori di Ferrario vengono alla mente Piazza Garibaldi e La strada di Levi, ma in quelli c’era qualcosa di «storico» su cui lavorare seppure in maniera singolare, qui invece diventa quasi astratto, ma se lo si lascia entrare, alla fine arriva. Ferrario e Arminio oggi (19.40) incontrano a Milano il pubblico dell’Anteo.