Applausi scroscianti accompagnano la presentazione del cast di Pasolini in conferenza stampa: Abel Ferrara, Willem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Adriana Asti e lo sceneggiatore Maurizio Braucci. Il regista de Il cattivo tenente, elegante, folti capelli bianchi, si nasconde dietro occhiali neri, dove si intuisce uno sguardo molto attento.

Qual era la sfida nel girare Pasolini?

«Nel momento della morte si racchiude l’intera vita», aveva scritto il Poeta. Una bella prospettiva e per fare il film siamo partiti da quest’idea procedendo nella miglior tradizione del suo cinema. Salò non fu mai distribuito, anzi il negativo fu mandato al rogo, non posso non pensare ai libri bruciati in altri tempi. D’altronde, un giorno sì, un giorno no, eravate in tribunale, no? (si rivolge a Ninetto, seduto a fianco, ndr).
Risponde Davoli: «Tutto di Pier Paolo era preso di mira da critici e tribunali, aveva una trentina di denunce, ma non sono mai state un ostacolo per lui. Andava avanti, come un cavallo in corsa col paraocchi, generando la forza nello scrivere in quel modo, non violento ma reale. Fu vittima del sistema da lui descritto, un mondo assurdo in cui non ci si riconosce, prevaricati dal superfluo».

L’opera di Pasolini sempre schierata contro il fascismo, è ancora attuale?

Ferrara: «Quei ragazzi, allora, cresciuti in mezzo a due guerre, gay, dovevano reinventarsi tutto. Lui nelle atmosfere di Salò ci aveva vissuto per anni, dal 1932 fino al ’45. Conosco il vissuto emotivo di quelle generazioni, mio padre, mio nonno, per farsi strada hanno dovuto credere molto in loro stessi. E questo li ha segnati inevitabilmente sul piano individuale. In questo non è cambiato nulla.

Come si è preparato per il ruolo?

Dafoe: «È stato difficile, sapevo che era un personaggio complicato. Proprio per questo sono voluto entrare nella sua testa, leggendo i suoi testi, seguendo i suoi comportamenti. Sentivo una grande responsabilità per rendere al meglio ciò che lui faceva e pensava. Per questo durante la lavorazione ho come cercato un dialogo personale con lui.

Adriana Asti, cosa ricorda dell’amico Pasolini?

Ogni volta che ne parlo, piango, e tutti lo sanno. Eravamo molto amici. Quando Abel mi ha chiesto di far parte del cast, ho temuto di non farcela. Poi una volta arrivata sul set ho visto Dafoe, era identico a Pier Paolo! E Abel come regista, ha lo stesso talento di Pier Paolo sul set, riesce a trasformare un attore nel personaggio immaginato…

Il film è recitato in più lingue…

Ferrara: «Certo, l’inglese è diverso dall’italiano in cui Pasolini scriveva, ma per parlare di poesia – come nell’intervista con Furio Colombo – l’ho usato per far comprendere i suoi scritti a un pubblico più vasto. Nelle scene con i ragazzi sarebbe però stata una forzatura. Non vedo nessuna differenza tra allora e oggi, questi kids vivono nei sobborghi di Manhattan o di Rio de Janeiro, parlano spagnolo, ucraino o arabo….

Come avete lavorato sulla sceneggiatura?

Braucci: «Abbiamo provato a immaginare i film che avrebbe voluto girare, tenendo presente il suo continuo far riferimento alla tradizione che sentiva e la realtà in cui viveva. I testi sono fedeli ai suoi scritti, abbiamo attinto a Petrolio e alle ultime due interviste. Per i dialoghi in inglese abbiamo usato le migliori traduzioni disponibili, e nella versione doppiata in italiano torneremo ai brani originali. Una ricostruzione di grande semplicità, rigorosamente filologica, della sua ultima giornata di vita.