Si narra che anche sul comizio finale di Zingaretti a Ferrara il Pd si sia diviso, da una parte quel pezzo di partito che voleva tenere il segretario in un luogo chiuso per paura di confronti numerici con le adunate di Salvini, dall’altra chi voleva portare Zingaretti in mezzo ai ferraresi. Alla fine hanno prevalso i secondi e il bagno di folla c’è stato, ma anche su questo – un comizio a poche ore dal voto decisivo – il partito, già in depressione per la sconfitta annunciata, ha faticato a trovare la quadra. Come si è spaccato tempo fa sulla scelta del candidato sindaco che avrebbe dovuto affrontare la sempre più rampante Lega. «Che errore scegliere lui», ha dichiarato a marzo il deputato renzianissimo Luigi Marattin in riferimento all’appena incoronato candidato Aldo Modenesi. Fuoco amico, ma anche una critica ad una scelta di continuità assoluta col passato (Modonesi è stato assessore negli ultimi 20 anni) che si è disastrosamente schiantata contro la voglia di cambiamento che tutti a Ferrara percepivano da tempo. Come risultato è arrivata una sconfitta storica per tutto il centro sinistra: la coalizione di Modonesi si è fermata al secondo turno al 32% e il leghista Alan Fabbri sarà il nuovo sindaco. Una svolta per una città da sempre di sinistra.

ORA IL CAMBIO di guardia con tutte le conseguenze politiche del caso: le dimissioni della segretaria del Pd ferrarese Ilaria Baraldi, l’incontenibile gioia leghista che ha dato vita nella notte tra domenica e lunedì ad un festa con sfottò agli sconfitti e, nel palazzo municipale, una bandiera della Lega che è andata a coprire lo striscione «Verità per Giulio Regeni». «Il Pd ha perso perché è stato arrogante», ha rincarato la dose il segretario locale del Carroccio Nicola Lodi. Guai ai vinti. «Eccola l’onda nera», ha commentato mesto Flavio Romani, ferrarese d’adozione ed ex presidente dell’Arcigay nazionale.
Assieme ad Alan Fabbri sindaco entrerà in consiglio, tra le fila della nuova maggioranza, il consigliere comunale Solaroli, famoso per il video in cui si mostrava con una pistola. Ed entrerà tutta l’ultra destra, quella di Fratelli d’Italia e quella che in tempi utili è transitata nel partito di Matteo Salvini. Che ora punta alla regionali di inizio 2020, quando l’obiettivo non sarà questa o quella città, ma direttamente tutta l’Emilia-Romagna.

PER INTANTO la Lega può festeggiare Ferrara e Forlì, altra città caduta più per responsabilità del Pd che per merito dei suoi avversari. A vincere Gian Luca Zattini, democristiano dichiarato fin nel dna.«Abbiamo dichiarato di essere il cambiamento e la gente ci ha votato. I forlivesi hanno voluto vedere cosa c’era oltre la porta». A uscire sconfitto Giorgio Calderoni, magistrato in pensione che i dem hanno schierato per esaurimento interno. Il risultato è stato un candidato che da moderato si è battuto come un leone, ma che nel 2013 aveva votato per Monti e l’anno successivo, vivendo all’epoca nello stesso comune del suo avversario (Meldola, paese confinante con Forlì), ha votato addirittura per lo stesso Zattini. Calderoni in tutto il suo candore lo ha addirittura dichiarato nella sua prima uscita pubblica. «Ha uno stile tutto suo», dicevano. Per lui una sconfitta onorevole (46,9%) ma pur sempre una sconfitta.

IN EMILIA-ROMAGNA il Pd può consolarsi con la vittoria di Reggio-Emilia e con quella di Cesena, a cui bisogna aggiungere Modena già al primo turno. Ma per un partito che in regione era quello di governo per antonomasia non sono le vittorie a contare. Le batoste di Ferrara e Forlì, a cui si aggiunge la modenese Mirandola e Copparo nel ferrarese, pesano più di tutto il resto. Poi c’è un dato oggettivo da cui partire: la Lega è risultato il primo partito alle europee, e se si votasse domani l’alleanza Lega-FdI-Forza Italia conquisterebbe la regione. Per non perdere l’Emilia-Romagna il Pd avrà qualche mese di tempo per riorganizzarsi e trovare una proposta capace di entusiasmare gli elettori, visto che domenica il classico cavallo di battaglia – la «buona amministrazione emiliana» – ha dato dopo decenni i primi segni di inadeguatezza. A Forlì e sopratutto a Ferrara invece si tratta già di ricostruire sulle macerie e pensare alla prossima sfida del 2024. Qualche dirigente dem inizia a ammetterlo: «Abbiamo fatto campagna elettorale guardando al centro quando invece, per sperare di vincere, bisognava cercare i voti a sinistra». In Regione però, al momento, si fanno sentire le sirene centriste. «Se il Pd coltiva l’illusione dell’autosufficienza sbaglia clamorosamente», dice l’ex Dc Pierferdinando Casini.