Salvatore, Shoemaker of DreamsSalvatore, Shoemaker of Dreams è la traduzione filmica, firmata autorevolmente da Luca Guadagnino, dell’autobiografia di Salvatore Ferragamo, il regista racconta la sua energia creativa, uno slancio futuribile e futurista – un sogno che è solo in parte un sogno americano. Oltre a mostrare la magia artigianale della confezione dell’attualissimo sandalo rainbow e delle scarpe rosse che Marilyn indossava quando cantò Happy birthday Mr.President a JFK, il regista cuce insieme materiali diversi: le interviste con gli eredi e con storici e storici del cinema, con esponenti dell’ambiente della moda di oggi, i superotto che Ferragamo, sperimentatore in tutto ciò che faceva, inizia a utilizzare quando era ancora un giocattolo per pochi, ritagli di giornale e foto di dive che calzano le sue scarpe, potendo contare su un archivio colto ed efficiente, ricco di materiali non limitati al lavoro del «calzolaio delle stelle», come la Fondazione-Museo Salvatore Ferragamo.

Ferragamo nasce a Bonito, in Irpinia, e sogna di diventare un bravo calzolaio in un paesino dove probabilmente molti andavano ancora scalzi. Continua la sua formazione professionale a Napoli, la vera metropoli italiana del tempo, centro di un artigianato della moda che non ha mai smesso di funzionare, dalle seterie borboniche a un oggi, precario ma ostinato. Napoli, già allora coi suoi cinema e le sue ambiziose case di produzione cinematografica, centro di una cultura popolare e mediatica cosmopolita, che fa sentire cittadini del mondo e gli consente di emigrare, giovanissimo, con le idee molto chiare su cosa una scarpa può voler dire.

Salvatore raggiunge, con un lungo viaggio coast to coast, Santa Barbara, il vero luogo dove si trasferisce l’industria cinematografica americana, andandosene da New York verso il 1915. La città californiana era un centro molto ricco, con i suoi grandi allevamenti e le prime trivellazioni petrolifere, ma soprattutto con tanto sole e un paesaggio vario e mediterraneo, dove il cinema prospera. Ferragamo mette su un negozio per la ricca clientela locale ma soprattutto comincia a confezionare gli stivali per i cowboy, che cavalcano nei primi western. Ben presto arrivano anche attrici come le sorelle Pickford, in particolare la piccola Mary (alta un metro e cinquanta) per la quale confeziona scarpine minuscole, come documenta il calco in legno col suo nome, o le sorelle Gish (per Lillian le scarpe per Way Down East). Entra in contatto anche con DeMille e Griffith, che si rivolgono a lui, che veniva dalla terra che aveva prodotto i primi spettacolari film storici come Quo Vadis e Cabiria, perché inventi i calzari per i loro film in costume.

Verso il 1920 i cinematografari si spostano a Hollywoodland, come si chiamava all’epoca, e quindi, nel 1923, Ferragamo raggiunge la sua clientela speciale e apre un negozio, l’Hollywood Boot Shop, così noto che la sua insegna si vede nel divertente Show People (King Vidor, 1928) con Marion Davies, un’altra sua cliente. Il negozio ha una sua «italianità»: non punta su una vetrina che valorizzi le scarpe fatte a mano, ma sul salottino interno, con colonne rinascimentali, un divanetto damascato, dove star e principesse potevano sedersi a bere un te e provare delle scarpe pensate per racchiudere con una forma snella ma un impianto comodo i loro piedi. Per raggiungere questo obiettivo Salvatore studia l’anatomia del piede all’università della Southern California, USC, e brevetta molte delle sue soluzioni geniali, dalla zeppa, che è una sua invenzione, ai tacchi particolari e persino degli strumenti ortopedici per la trazione della gamba.

Il suo lavoro per il cinema includeva le scarpe per le ballerine di fila che si esibivano dal vivo prima del film nei suntuosi movie palaces per le quali preparava delle scarpe leggere che colorava a richiesta per adattarle di volta in volta al colore dei costumi. Ferragamo ha capito il ruolo che costumi e scarpe avevano nel cinema muto, in cui bisognava utilizzare tutti gli elementi visivi al massimo della loro espressività e inventare il look -l’iconografia- per diversi generi. Brillante nel film la discussione di Deborah Nadoolman, costumista e moglie di John Landis, sulle scarpe con un grande fiocco bianco che indossava Gloria Swanson, nel ruolo della prostituta in Sadie Thomson (Raoul Walsh, 1928).
Ma in California non si trovavano abbastanza calzolai affidabili in grado di confezionare tutte le scarpe che il cinema e la sua clientela selezionata richiedevano. Ferragamo allora, nel 1927, torna in Italia, rivede la famiglia, trova una moglie – Wanda- del suo stesso paesino e sceglie Firenze per una nuova impresa nell’artigianato di lusso.

Dopo alcuni rovesci finanziari, legati al Crollo di Wall Street, si rimette in piedi, appoggiato dai suoi lavoratori, e compra l’aristocratico palazzo medievale Spini Feroni, posizionato in fondo alla via fiorentina dello shopping, via Tornabuoni, approdo immaginario e suntuoso di una moda che valorizza arte e cultura, oltre che il lavoro artigianale.
E qui, negli anni Cinquanta, tornano le star, quando vengono a girare in Italia le produzioni americane della «Hollywood sul Tevere», e gli fanno visita perché le sue scarpe non sono solo status e lusso, ma sono davvero comode. Alla sua morte prematura, a 62 anni, moglie e figli si rimboccano le maniche e continuano il suo lavoro. Un sogno che si è avverato, quindi sulle basi di una cultura italiana della modernità che portava con sé, venendo da Napoli, che ha associato all’imprenditorialità americana, ma che lo ha anche riportato a casa. Non dimentichiamo che durante la grande ondata migratoria 60% degli emigrati tornarono a casa. Non (solo) perché gli americani non li trattavano bene, ma soprattutto perché il Bel Paese era sempre il luogo più bello al mondo in cui vivere. E continuare a lavorare.