Ha ricevuto il premio Goya come miglior film iberoamericano El olvido que seremos (tradotto in italiano più neutralmente come La nostra storia)dopo essere stato in concorso a Cannes. Infatti il regista spagnolo Fernando Trueba ha girato il film in Colombia con un cast tutto colombiano, tranne il celebre attore spagnolo Javier Camara che interpreta il protagonista, il professor Hector Abad Gomez, il medico di Medellin attivista dei diritti e della salute pubblica assassinato nel 1987, per aver denunciato gli assassini dei gruppi paramilitari contro intellettuali, professori, giornalisti. Il film dà forma cinematografica al libro El olvido que seremos (2006) che il figlio, lo scrittore Hector Abad Faciolince ha scritto perché non si perdesse la memoria del padre. In una lettera scritta al padre da bambino si firmava Hector Abad III, il terzo, «perché tu vali per due», scriveva. Colombia, squadroni della morte, droga: il film inizia al cinema, con lo stereotipo dei film di genere, Al Pacino in Scarface, nella scena della motosega nell’hotel di Miami. E prosegue per le strade nella Torino di notte, dove il ragazzo studia letteratura all’università.

L’INCIPIT è come un monito cinematografico, sulla differenza tra raccontare una storia violenta di malavita piuttosto che le vicende apparentemente senza colpi di scena di una famiglia normale in un paese sull’orlo del disastro. Ci si accorgerà che anche in questo secondo caso fa la sua comparsa il dramma e che raccontare la storia di un «umanista» può essere altrettanto avvincente: Fernando Trueba (premio Oscar per Belle Époque) è un maestro della messa in scena, della commedia, della storia raccontata attraverso dettagli. Il bianco e nero dell’incipit diventa a colori per sottolineare tempi diversi quando il figlio torna a Medellín occasione della cerimonia per il pensionamento forzato del padre, accusato di marxismo nel suo insegnamento. L’incontro è l’occasione per il flashback nell’infanzia del ragazzo, che in una famiglia numerosa estremamente cattolica riceve anche l’esempio laico del padre, un raro esempio di educazione non machista nel latinoamerica, rivolta piuttosto all’umanesimo, ai rapporti affettuosi, alla felicità come obiettivo di vita («per essere felice l’uomo ha bisogno delle cinque A: aria acqua, alimenti, abiti e affetto»).

Javier Camara (per Almodovar è stato in La mala educación e Gli amanti passeggeri) recita con accento colombiano – tanto il film è doppiato – scelto da Trueba per il suo carattere solare, era nel cast anche del suo penultimo film, la commedia «La reina de España» perfettamente adeguato al personaggio, anche per la sua notevole somiglianza con il medico. L’attività militante del professor Hector Abad era fatta di iniziative concrete come la creazione del dipartimento di salute pubblica all’università di Medellín, l’importanza della vaccinazione contro la polio, che il governo colombiano non aveva approvato, sempre in lotta per far arrivare acqua pulita alla popolazione che moriva per epidemie di tifo.

«Il comune di Medellín è una vergogna nazionale, scrisse in un articolo che certo non gli procurò l’appoggio delle alte sfere, l’acquedotto sparge bacilli di febbre tifoidea senza che le autorità facciano qualcosa per impedirlo». In quanto all’insegnamento universitario, diceva: «non ho insegnato molto, ma ho insegnato a pensare liberamente».

IL FILM segue senza moralismi, con calore, la sfera familiare, l’importanza dell’educazione, della moderazione, della lettura di Machado e di Neruda, dei libri di storia dell’arte, della musica. Racconta l’affetto delle figlie nei suoi confronti e in particolare l’adorazione dell’unico figlio maschio, il più piccolo, che quando torna a casa, studente universitario, ha modo di attraversare anche lui periodi di ribellione, in parallelo con la crescente violenza nella società dove le formazioni paramilitari, forniti di una lista di personaggi da assassinare, facevano strage di intellettuali, E tra questi, c’era anche il nome di Hector Abad. Nella tasca della giacca del padre assassinato il figlio trova un appunto, un frammento di Borges, «El olvido que seremos», l’oblio che saremo.