Mohammed Morsi, l’ex presidente egiziano in carcere dopo il golpe militare del 3 luglio 2013, rischia la pena di morte. È la richiesta della procura generale egiziana nel processo in cui il leader dei Fratelli musulmani, tenuto per mesi in isolamento, è accusato di spionaggio in favore di Hamas e Hezbollah. Nel corso dell’udienza di ieri in aula, Morsi ha chiesto alle guardie carta, penna e una copia della Costituzione del 2012, cancellata dalla Carta voluta dai militari e approvata nel gennaio di quest’anno con scarsa partecipazione elettorale. L’accusa ha direttamente tirato in ballo uno degli episodi più oscuri della recente storia egiziana, quando nel giugno del 2012, nel pieno dello scontro elettorale per le presidenziali tra Morsi e il nazionalista Ahmed Shafiq, l’esercito minacciava l’arresto immediato dei leader dei Fratelli musulmani anziché riconoscerne la vittoria. Secondo i pm, la confraternita sarebbe stata pronta a dichiarare il Sinai «Emirato islamico» se Shafiq fosse stato dichiarato vincitore. Le accuse di connivenza con i jihadisti del Sinai sono state avanzate nei confronti della Fratellanza anche subito dopo il golpe del 2013, in verità dagli anni Ottanta gli islamisti moderati hanno abbandonato il ricorso alla violenza.

Ma proprio il Sinai, dove è stato imposto lo stato di emergenza e il coprifuoco dopo i recenti attentati costati la vita a 33 soldati, continua ad essere dilaniato dalle violenze. La scorsa settimana un attacco ad una motovedetta della marina militare egiziana ha causato la morte di 17 tra soldati e ufficiali nel porto di Damietta. Questi episodi, sospettosamente concomitanti alla scadenza per le elezioni parlamentari inizialmente previste entro il mese di novembre, hanno permesso ancora una volta a Sisi di estendere i poteri presidenziali, incluso un rinnovato ricorso a processi militari per i civili. Questo conferma l’efferatezza del nuovo regime militare che non ricerca nessuna legittimità elettorale sostanziale. Tant’è vero che le elezioni parlamentari sono state di conseguenza spostate sine die, forse all’inizio del prossimo anno. Eppure, nonostante l’imposizione di una zona cuscinetto con la Striscia di Gaza e la demolizione di migliaia di abitazioni a Rafah, la violenza nel Sinai non si è di certo placata neppure in seguito alle nuove misure di emergenza. E così dieci civili sono stati uccisi nella notte tra martedì e mercoledì, tra loro sette beduini del villaggio di Negah Shabana.

Non solo, si aggravano i limiti imposti alla stampa in Egitto, per questo 400 giornalisti non allineati hanno firmato una dichiarazione di intenti in cui assicurano di non voler riferire le ricostruzioni ufficiali in caso di manifestazioni e uso della violenza. Secondo questi giornalisti, chiunque in questo momento in Egitto non riproduca la versione ufficiale viene tacciato paradossalmente di affiliazione a gruppi terroristici.

A conferma dei limiti imposti alla stampa un episodio davvero incredibile ha coinvolto il direttore de Le monde diplomatique, Alain Gresh, di origini egiziane e in visita al Cairo. Il noto giornalista è stato trattenuto per alcune ore dalla polizia dopo essere stato denunciato da una donna che aveva ascoltato le sue critiche al regime di Sisi. L’ex generale, che sarà in visita a Roma e poi in altre capitali europee a partire dal 24 novembre prossimo, dopo le ripetute richieste di liberare i giornalisti di Al Jazeera condannati a sette anni di reclusione, ha assunto il potere di estradizione di detenuti stranieri, questo potrebbe presto risolvere il caso del giornalista australiano Peter Greste, detenuto da un anno e mezzo nelle carceri egiziane.

Infine, a pochi giorni dal terzo anniversario degli scontri di via Mohammed Mahmud del 28 novembre prossimo, che segnarono lo scollamento tra piazza e islamisti moderati, l’attivista operaia Mahiennour el-Massry, più volte intervistata dal manifesto, è stata arrestata insieme al suo avvocato Mohammed Ramadan: non si conoscono ancora le accuse. La polizia di Alessandria avrebbe arrestato altre decine di manifestanti che si preparavano per ricordare l’importante anniversario. Il ministro dell’Interno, Mohammed Ibrahim ha assicurato che in caso di manifestazioni cruente, la polizia non esiterà a usare munizioni.